Una sincera devozione. È quella che, non v'è alcun dubbio, Rocky Votolato nutre nei confronti della musica e della sua professione di moderno cantastorie. E la discografia - alacre, febbrile - lo testimonia: 8 album in 10 anni di carriera più tre con la sua vecchia band i Waxwing. Il tutto ancor prima di compiere gli anni di Cristo. Nome roccioso, da pugile, e voce soffice e melanconica, Votolato è, nel suo piccolo, una delle figure più interessanti e trascurate nell'alt-country degli anni Zero.
Un musicista capace di rivisitare il genere in maniera raccolta e frugale, puntando su un certo grado di contaminazione con il cotè emo-punk dell'America rurale (con esponenti come Owen, The New Amsterdams, Kevin Devine o i solo di Matt Pryor dei The Get Up Kids). Spleen generazionale che si riallaccia alla tradizione passando per gli anni 90. Un'epifania stilistica che Votolato, più di ogni altro, trascende.
Pur non raggiungendo i livelli delle sue opere maggiori ("Suicide Medicine" e "Makers"), "True Devotion" conferma la solidità espressiva del cantautore di Seattle e la continuità di una forma acustica, autarchica, personale. Storie schiette, vissute. Canzoni semplici e dirette che qui, salvo poche eccezioni ("Red River": rock energico e blue-collar come uno Springsteen al passo coi tempi; "Fragments": lacerti emo imbrigliati in prosa country), assumono una gradazione ancora più intimista: l'incipit quasi da camera di "Lucky Clover Coin", l'honky-tonk dolente e urbano di "What Waited For Me", la componente pre-war di "Sparklers" e "Don't Be Angry".
Memorabile il climax innodico di "Static Is Everywhere" (che ha qualcosa di "Disarm" dei fu Smashing Pumpkinks nel tessuto ritmico della chitarra).
Una conferma quantomai gradita.
02/03/2010