Iniziamo come non si dovrebbe, con una giustificazione: Sade Adu e compagni non sono mai stati considerati un gruppo da cui aspettarsi grosse rivoluzioni di genere e sound tra un disco e l'altro, si pensa al loro nome e subito vengono in mente, forse troppo semplicisticamente, atmosfere jazzy raffinate fino all'eccesso, voce vellutata a duettare col sax e ritmiche mai troppo invadenti.
Tuttavia con le loro ultime (e ormai lontane) prove avevano dimostrato di essere comunque in grado di sostenere dei piccoli ma importanti cambiamenti stilistici nella loro evoluzione (e non solo); quando nel 2000 tornarono con "Lovers Rock", dopo otto anni di assenza, abbandonarono il trip-hop in nuce del precedente "Love Deluxe" per produrre un album dal suono allora attualissimo, che mescolava r'n'b e nu-soul, che quasi rinnegava la fredda perfezione stilistica degli esordi in favore di un'attitudine più viscerale, che facesse risaltare l'anima (e le radici) black della cantante anglo-nigeriana.
Stavolta, però, gli anni di attesa per il nuovo album sono stati persino di più, quasi dieci, ed era quindi forse lecito aspettarsi un ulteriore cambiamento di almeno pari portata, e invece niente da fare, i Sade ripartono più o meno da dove avevano lasciato, addirittura semplificando e ammorbidendo quanto già proposto in "Lovers Rock", come se di anni ne fossero passati soltanto due.
In "Soldier Of Love" si ritrovano infatti simili umori, gli stessi suoni caldi e corposi, le stesse nuances etniche, sebbene ulteriormente esaltati dalla voce di Sade, diventata col tempo decisamente più espressiva e profonda, a tratti quasi cupa. Anche a livello melodico, diverse canzoni potrebbero essere coetanee delle precedenti e se proprio si volesse etichettare questo nuovo album al'interno della loro discografia, si potrebbe dire che si tratta di quello più romantico e cantautorale, quello in cui come non mai si ha davvero l'impressione di ascoltare un suo disco solista e non quello di una band (stavolta tenuta davvero a freno).
Stupisce, quindi, la scelta del primo estratto di lancio, la marziale title track, che, seppur ammaliante, è senza dubbio il loro singolo meno orecchiabile e immediato di sempre: la sua miscela a base di beat conformi all'attuale scena urban-pop e di reminiscenze elettroniche dei loro primi anni 90 condita con un'insolita atmosfera vagamente western, rappresenta infatti ben poco il resto del disco, che invece punta quasi tutto su accorate ballate, con la chitarra acustica a farla da padrone, come se nelle intenzioni ci fosse quella di riscrivere non una ma tante nuove "By Your Side".
Solo sporadicamente il ritmo si fa leggermente più sostenuto, come nelle cadenzate "Bring Me Home" e "Babyfather" (quest'ultima venata di reggae), ma si tratta comunque degli episodi più leggerini del disco e che, seppur piacevoli, sembrano aver solo funzione di spezzare un po' un album altrimenti troppo omogeneo.
Si tratta dunque di un lavoro deludente e poco riuscito? Decisamente no, se le delusioni nascono dalle diverse aspettative di ciascuno, ciò che invece arriverà alle orecchie di tutti i suoi ascoltatori sarà la classe immutata con cui Sade accarezza impeccabili lenti da manuale come "The Moon And The Stars" e "Long Hard Road" (accompagnata da un bel crescendo di archi) o un'elegantissima torch-song, "In Another Time", come non se ne sentivano da tempo.
Non c'è traccia di ambizione, quindi, se non quella di voler condividere col proprio pubblico, probabilmente stremato dalle lunghe attese, alcune belle canzoni e quelle atmosfere che in pochi al giorno d'oggi sono ancora capaci di evocare.
07/02/2010