Una strada deserta. Grattacieli diroccati ai lati, l'asfalto sotto i piedi. Un sole troppo lontano, spento e cereo. Da piccole soluzioni di continuo del manto stradale salgono beat isolati, distanti. Una dancehall post-apocalisse; un dub da inverno nucleare. Questo è lo scenario che apre "Cloud Seed", il ritorno in pompa magna del duo Vex'd, aka i fautori del passaggio di testimone tra la garage di fine millennio e il dubstep.
Cinque anni dopo le trivelle corrosive e metropolitane di "Degenerate", la storia è cambiata radicalmente: dimenticate i bassi tellurici, dimenticate i vortici sintetici caustici e violenti. Il futuro secondo Vex'd è qualcosa di desolato, abbandonato, silenzioso.
Al di là delle suggestioni cinematografiche che questo disco suscita, è importante sottolineare una cosa, ovvero quanto il termine dubstep stia stretto a un lavoro del genere. E come il termine dubstep, inteso come genere musicale e quindi tralasciando la (grossa) fetta di movimento sociale e urbano che la parola rappresenta, sia ormai qualcosa di vecchio, sorpassato, obsoleto.
In "Cloud Seed" troviamo qualcosa di nuovo, qualcosa di "oltre". In "Cloud Seed" trovano spazio ritmiche caraibiche, suggestioni sci-fi apocalittiche, avanguardia (le rivisitazioni delle composizioni di John Richards e di Gabriel Prokofiev), ambient e qualcosa di indefinibile che chiamerei elettronica post-'90 (l'ethno remix dei Plaid).
Vex'd, grazie alla loro grande capacità visionaria, segnano l'ennesimo passo oltre i confini della musica elettronica contemporanea. In una parola, "Cloud Seed" è il futuro.
30/05/2010