"Freed from the beat and the pulse… playing for the heart and the soul".
Tra le righe del primo, accattivante singolo "Beat And The Pulse", è descritta in maniera forse involontaria ma sicuramente perfetta l'anima musicale degli Austra, terzetto canadese, al suo album d'esordio. Sì, perche "Feel It Break" è un disco palpitante, liberatorio e mistico come un rito d'iniziazione, sospeso com'è tra atmosfere a tratti algide, a tratti portatrici di una vitalità urgente e carnale.
Nulla di particolarmente innovativo nella loro proposta, se pensiamo alla somiglianza con nomi molto vicini a certo pop di influenze gotiche e dal forte tasso emozionale, quali ad esempio Zola Jesus o l'ombroso fascino di una Natasha Kahn. Ma soprattutto la mente corre a tendenze di stampo nordico recenti, e quindi soprattutto agli Knife, dei quali gli Austra riprendono quel gusto per le taglienti partiture elettroniche quasi industrial, ma sempre caldamente pop. Quel tono lugubre e claustrofobico, spesso carico di inquietudine sofferta rimanda, invece, senz'altro a Fever Ray. Musica intensa, (melo)drammatica, e spesso a tinte scure, perciò quella degli Austra, il cui non plus ultra è rappresentato dall'ammaliante voce della frontgirl Katie Stelmanis, angosciosa ma anche vivace nella sua passionalità avvolgente.
L'iniziale "Darken Her Horse" è un bellissimo esempio di elettro-pop, che parte solenne e austero tra i sontuosi vocalizzi della Stelmanis, e si sublima in una trascinante malinconia depechemodiana.
In "Lose It", invece, ella si trasforma in una sorta di enigmatico usignolo, con i suoi falsetti in stile rococò, ad animare una fiaba dal ritmo classicheggiante e arioso seppur sintetico. "The Future" è un altro episodio godibilissimo, dall'andamento più saltellante e festoso rispetto alle precedenti tracce e caratterizzato ancora dalla gran presa di una voce, stavolta fresca e disincantata. Le artificiali e robotiche geometrie di "Beat And The Pulse" rappresentano l'esemplificazione più caratteristica della commistione prima menzionata tra ossessioni in pura grammatica industrial e declinazioni synth-pop, dalle definite reminiscenze eighties. Le partiture prima thriller e poi celestiali di "Spellwork", su melodia radiosa e magnetica, completano l'entusiasmante inizio del disco.
Un po' di stanchezza comincia però ad affiorare nella parte centrale dell'album, eccessivamente monotematica e mancante delle melodie accattivanti, brillantemente esibite prima. Pecca senz'altro perdonabile ad un gruppo all'esordio e che ha dimostrato di avere ottime potenzialità.
La parte finale del disco recupera crediti attraverso il synth-pop sempre rimodellato in chiave dark di "The Villain", e soprattutto con il sorprendente esperimento pop di "Shoot The Water", una delle perle del disco, con quel suo andamento spiritosamente operistico, efficace prova della capacità della band di elaborare stili anche molto distanti (o almeno in apparenza) dai propri canoni.
Convincente nonostante le sue (comprensibili) imperfezioni e incompletezze, quest'esordio degli Austra, probabili nuovi alfieri (o almeno così ci auguriamo) di un pop forse tedioso e paranoico, ma anche ammaliante, magico e tremendamente appiccicoso.
03/06/2011