Daniele Silvestri ha la capacità di non dare mai niente per scontato. Quando scrive le sue canzoni, prima di tutto, che si tratti di mettere insieme i suoni o le parole. Quando sceglie le persone con cui collaborare, da sempre tante, amici vecchi o nuovi che con quello che fa lui finiscono per entrarci ogni volta molto di più di quanto non sarebbe stato lecito pensare. Quando decide di far uscire un disco e di stiparci dentro tutto quello che gli passa per la testa, tutto ciò che ritiene sia necessario per dargli un senso finito e pieno. Silvestri è un testimone consapevole del paese in cui gli è toccato vivere, conosce il significato del concetto di responsabilità e non si tira mai indietro. È un cantautore e canta parecchio l'amore, ovviamente, ma non riuscirete mai a togliergli dalla testa che la prima cosa che un artista, un artista di qualsiasi genere, sia chiamato a raccontare è la realtà che gli sta intorno. La cultura, la società. L'aria che tira. Ecco, se esiste un musicista, in Italia, in grado di rendere alla perfezione il suo zeitgeist, sempre e comunque, questo è Daniele Silvestri. Lo faceva quando aveva poco più di vent'anni, lo fa tanto meglio oggi che di anni ne ha quasi quarantatré.
Un colpo l'aveva già battuto l'autunno scorso, Silvestri, quando aveva risposto all'appello di Saviano e Fazio e aveva partecipato a due puntate del loro "Vieni via con me", cantando una sua versione (non priva di inciampi in presa diretta, a onor del vero) del contro-inno gaberiano "Io non mi sento italiano" e la sua instant song "Precario è il mondo", che allora non aveva ancora neanche il titolo che ha oggi. Una manciata di mesi dopo, durante i quali ha raccontato di essersi dovuto dare una scrollata, di essersi costretto ad accelerare e a prendere una direzione che fosse una, è uscito il suo settimo disco in studio. "S.C.O.T.C.H." arriva a quattro anni di distanza dal precedente "Il latitante", ed è una corposa e poliedrica raccolta di canzoni malinconiche e belle, perfettamente aderenti allo stato in cui versa l'Italia in questo primo scorcio degli anni Dieci. Di più, al suo spirito.
Quindici tracce alla luce del sole, più una nascosta. Dopo tanto silenzio, comunque più breve di quello trascorso tra "Il latitante" e il suo predecessore "Unò-dué", il cantautore romano sembra non aver voluto lasciar fuori niente di quello che aveva per le mani. E così in "S.C.O.T.C.H." troverete ballate dolenti e filastrocche solo all'apparenza spensierate, cover vere e proprie ("Io non mi sento italiano", appunto) e rifacimenti in chiave post-moderna di grandi classici della canzone italiana ("La gatta" di Paoli, che qui diventa "La chatta", con tanto di cammeo del cantante genovese). Troverete sparse ovunque tracce del recente amore infranto di Silvestri (specie nella splendida "Acqua stagnante", viene da pensare), troverete, nell'unico episodio rock, quella "Monito(r)" parente strettissima di "Sì, no... non so" di "Prima di essere un uomo", tutto il fiele di chi non si capacita di come le cose, nella politica italiana, debbano per forza funzionare così. Napolitano vorrebbe una penna disonesta che gli permettesse di cassare tutte le leggi infami propinategli da Berlusconi, presume Silvestri, e forse non è nemmeno troppo lontano dalla verità. "Ma che discorsi", che proprio insieme a "Monito(r)" è stato il primo singolo scelto per lanciare il disco, conferma quanto la sua vena pop sia ancora ben lontana dal prosciugarsi, così come "Sornione", scritta e cantata insieme all'amico Niccolò Fabi, e "Acqua che scorre", in cui brilla la voce straordinaria, smerigliata e tagliente, di Diego Mancino.
Nell'ultimo brano formalmente riconosciuto, intitolato eloquentemente "Questo Paese", fa capolino anche il piano di Stefano Bollani, ma il vero gioiello dell'album è la (quasi) title track. "Lo scotch" comincia come un pezzo reggae, con tanto di voce filtrata di Bunna sullo sfondo, poi pian piano si trasforma in un autentico bolero, impreziosito da una manciata di versi recitati da Peppe Servillo. In coda, poi, c'è anche un dialogo con Andrea Camilleri, amaro e ironico come non può non essere neanche la canzone più tragica di Silvestri. Uno che sa fare tutto, e che sa fare tutto bene. Siamo noi, non da adesso, che abbiamo la fortuna di poterlo dare per scontato.
13/05/2011