Vinicio Capossela

Marinai, profeti e balene

2011 (La Cùpa/ Wea)
songwriter, folk, pop-opera

Un Capossela esagerato. Lasciato a riva ciò che restava del suo (già esiguo) senso della misura, l'ex Corvo Torvo si imbarca addirittura in una "Marina Commedia". Opera epica, anzi "ciclopedica", suddivisa in due tomi-cd - "uno oceanico, l'altro omerico e mediterraneo" - in bilico tra musica e letteratura. Un musical teatrale, più che un album, lungo un'ora e mezzo e traboccante 19 canzoni, intrise di miti, poesia e salsedine.

L'infatuazione marinara non è una novità per il cantautore nato a Hannover, fin dai tempi dei "palombari con la tuta da calamaro" e delle "serenate di capodoglio" di "Canzoni a manovella". Ma l'ideale prologo di "Marinai, profeti e balene" è da ricercare tra i solchi del suo ultimo grande album, "Ovunque proteggi", in quella spettrale preghiera di nome "S.S. dei naufragati", che si levava dalla stiva di un vascello sommerso dai flutti, tra legni fradici e spiriti di morte. L'attrazione oscura del mare, metafora dell'imperscrutabilità del fato, trascina ora Capossela in una sorta di trance oceanica permanente, che filtra e deforma ogni cosa. Una navigazione procellosa tra vascelli fantasma, sirene, polpi, foche barbute, balene, squali bianchi, madonne delle conchiglie e serafini "con occhi di biglie". Un'odissea letteraria e, inevitabilmente, metafisica, a conferma dell'accresciuta vocazione spirituale del Capossela recente.
Il porto iniziale, allora, non può non essere il ventre de "Il Grande Leviatano", il terribile mostro marino descritto da Giobbe come "re su tutte le fiere più superbe" (Vecchio Testamento, 41, 1-20/ 24-27). Una declamazione lirica e solenne per piano, organo e coro, con testo tratto da un passo del "Moby Dick" di Herman Melville ("Ribs & Terrors in the Whale"), tradotto da Cesare Pavese. Dalle fauci di quel "liberatore tremendo e divino" prende il via questa "fantasmagoria di ballate, gighe, prison songs, canzoni da giaccone, da peplo, da uniforme, da scafandro, o pezzi di pura evocazione, brevi e perfette colonne sonore della vita tra i flutti" - come l'ha definita Marco Castellani nelle note introduttive.

I nostalgici del Capossela cantautore, che fosse quello tarantolato dal "Ballo di San Vito" o quello illanguidito dalle riflessioni su "Che cossè l'amor", resteranno delusi, così come non troveranno più frecce al loro arco i sostenitori della sua Waits-dipendenza. Chiusa la parentesi intimista di "Da solo", Vinicio sembra essersi definitivamente votato a un music-hall universale, dove la canzone si fa teatro e viceversa. Così la recitazione e lo spoken word - inaugurati a partire proprio da "Ovunque proteggi" - conquistano definitivamente il proscenio. Con toni generalmente meno febbricitanti e più pacati, salvo qualche ragguardevole eccezione, come l'apocalisse melvilliana di "I fuochi fatui" ("Sebbene tu sia luce che prorompe dalle tenebre/ io sono tenebra che prorompe dalla luce") e soprattutto l'apologo maestoso e terrificante di "La bianchezza della balena" ("niente è più terribile di questo colore una volta separato dal bene"), liberamente ispirato da un altro passo di "Moby Dick":

E cosa atterrisce dell'aspetto dei morti
se non il pallore
Bianco sudario colore?
Spettri e fantasmi immersi in nebbie di latte
Il re del terrore avanza nell'apocalisse
Su un cavallo pallido
E pallidi i cappucci della pentecoste
E il mare nel suo richiamo abissale
Nell'Antartico, bianco sconfinato cimitero, il bianco
sogghigna nei suoi momenti di ghiaccio
Il pensiero del nulla si spalanca nella profondità lattea del cielo
Bianco l'inverno bianco, la neve bianca,
bianca la notte
Bianca l'insonnia bianca, la morte bianca e bianca la paura è bianca
L'universo vacuo e senza colore
Ci sta davanti come un lebbroso
Anche questo è la bianchezza della balena
("La bianchezza della balena")

È il capolavoro del disco, il suo climax lirico ed emotivo, con l'imponente coro delle voci bianche dei Mitici Angioletti ad acuire il pathos.

Più frequenti, invece, i momenti scanzonati: dalla filastrocca in "sirenese" di "Pryntil", una "In fondo al mar" uscita da un grammofono anni Trenta, con le Sorelle Marinetti sugli scudi (ma con l'ombra del Cèline di "Scandalo negli abissi" in agguato), al divertissement calibratissimo per xilofono e cori di "Lord Jim" (l'eroe fallibile di Conrad), dalla giga medievale di "L'oceano, Oilalà" alla ciondolante danza tra i tentacoli del "Polpo d'amor", distillato di nero inchiostro Calexico, passando attraverso i cori da taverna di "Billy Budd", un blues piratesco impreziosito dai ricami chitarristici di Marc Ribot, e il delirio noisy d'un Polifemo ubriaco, tradotto in geniale neologismo ("Vinocolo"), fino al liquido (e un po' scontato) "Calipso".
Ma il baricentro del disco sta anche in episodi più scarni, piccole miniature melodiche rifinite a mano - l'elegia ancestrale di "Aedo", pizzicata sulle corde della lira a pochi passi dalla Grotta di Zeus (Creta), il carillon fatato della "Madonna delle conchiglie", protettrice dei marinai, la filigrana sottile di "Dimmi Tiresia", ode all'indovino imbevuta di dubbi amletici - a conferma del peculiare talento caposseliano nel lavorare di cesello.
Meno entusiasmante, invece, il lungo commiato di "Le Sirene", che si trascina stancamente tra piano, voce e violini, così come, in generale, tutti i pezzi che indulgono nella ballata, un formato nel quale Capossela da qualche tempo fa più fatica a eccellere.

Menzione speciale per la "ciurma". Issato un pianoforte degli anni Trenta sul Castello Aragonese di Ischia e rispolverata una congerie di strumenti desueti - percussioni indonesiane, viola d'amore barocca, santur, onde Martenot, theremin, sega musicale, ondioline - il capitano Capossela (letteralmente, in copertina) guida un affollatissimo equipaggio: dal cretese Psarantonis, "Zeus della lira", al newyorkese Ribot, dai fidati Jimmy Villotti, Ares Tavolazzi e Antonio Marangolo alle bizzarre orchestre meccaniche dei Cabo San Roque e agli amici Calexico, passando per un'infinità di cori: di marinai (Drunk Sailors) e voci bianche (Mitici Angioletti), ancestrali (le donne sarde di Actores Alidos), classici (il Coro degli Apocrifi) e anni Trenta (le Sorelle Marinetti).

Non tutto fila liscio, ma più del dettaglio conta l'insieme. Dopo il passo falso di "Da solo", Capossela si riscatta con un'opera titanica e straripante, che l'ascolto su disco riesce solo parzialmente a restituire nella sua complessità: ancor più imperdibile, infatti, si preannuncia la sua rappresentazione coreografica sui palcoscenici dei tanti teatri italiani dove la nave di Capossela attraccherà, fino al trionfale approdo finale all'Auditorium di Roma il 27 maggio.

02/05/2011

Tracklist

Disco 1

  1. Il Grande Leviatano
  2. L'oceano Oilalà
  3. Pryntyl
  4. Polpo d'amor
  5. Lord Jim
  6. La bianchezza della balena
  7. Billy Budd
  8. I fuochi fatui
  9. Job
  10. La lancia del pelide

Disco 2

  1. Goliath
  2. Vinocolo
  3. Le Pleiadi
  4. Aedo
  5. La Madonna delle conchiglie
  6. Calipso
  7. Dimmi Tiresia
  8. Nostos
  9. Le sirene


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