Passata la soglia dei cinquant'anni, Bob Mould può concedersi un album di distensione controllata come "Silver Age", ancora una volta composto e arrangiato per power-trio, la sua line-up favorita. Nobile è il suo intento di stilizzare e depurare il più possibile il suo tardo sound: gli esperimenti imbarazzanti di "Modulate" (2002) e "Body Of Song" (2005), il ritorno all'impegno con "District Line" (2008), un certo respiro stilistico ritrovato in "Life And Times" (2009).
Nel nuovo arrivato l'auto-imitazione infuria dunque in "Fugue State", nel quasi speed-core lisergico di "Round The City Square" e nella precisa "Briefest Moment" (tutti numeri il cui focus sta nelle liriche quasi declamate e non più granché cantate): di traccia in traccia Mould ribadisce il suo voler lasciarsi alle spalle l'incerto passato prossimo.
"Star Machine" è l'anthem del caso: rozzo, generico, incompiuto, si regge praticamente solo sui ruggiti di Mould (mai un vero mostro di bravura in termini di shouting). Il riff della title track è quello di "Rockin' In The Free World" di Neil Young, ma poco si apprezza della sua distorsione mistica d'un tempo, a parte rari vagiti simil-shoegaze. "The Descent" è la hit che rispolvera la sua caratura di grande saggio del power-pop, con quel suo tipico velo di melanconia autunnale, e pure un sentore da b-side di "Copper Blue" (il disco di debutto degli Sugar).
Mentre la power-ballad di "Steam Of Hercules" tenta di affogare la mancanza di melodia nel chiasso della distorsione, lo spirito paternalista della sua tarda carriera timbra il cartellino con la chiusa, "First Time Joy", in un trionfo di atmosfere ovattate e archi elettronici.
Divenuto ormai cocco di critica e pubblico alternativo, anzi ormai elevato a messia persino da personaggi come Dave Grohl, e tributato in massa nel 2011 al Walt Disney Concert Hall, il Mould compiaciuto, istituzionale, simpatetico (autore di un'autobiografia, "See a Little Light", 2011), erutta un albo tirato tutto muscoli e amuleti scaccia-età. C'è chi scodella - al solito - il ritorno agli Sugar, alla sua migliore carriera solista, persino agli Husker Du. La polpa migliore sta invece negli effetti sonori che chiudono le canzoni, e uno strascico di magia psichedelica, forse l'anima che da sempre l'ha avvicinato allo status di compositore vero e proprio. Basso: Jason Narducy (Verbow); batteria: John Wurster (Mountain Goats, Superchunk). Prodotto e distribuito da Merge per gli Stati Uniti, e da Edsel per l'Europa, la stessa etichetta che ha curato le ristampe dei dischi storici ("Copper Blue", "Beaster", il capolavoro degli Sugar, e "File Under Easy Listening").
15/09/2012