Bob Mould ci riprova. A poco più di un anno dallo scadente (ma non pessimo) “The District Line”, l’ex Husker Du e ex-Sugar conferma la normalizzazione del suo corso con “Life And Times”.
Nella sostanza, quest’album è una versione grossomodo riveduta del predecessore, che ricalca senza sbavature e senza punte particolari. Tra le ormai più che prevedibili iper-ballate (“Life And Times”, che in parte rispolvera la classe dei suoi vecchi dischi solisti, “City Lights”, “Bad Blood Better”) c’è anzi un nuovo punto basso di melensaggine (pu curato nei rifinimenti chitarristici), quale “I'm Sorry, Baby, But You Can't Stand In My Light Any More”, reminiscente di "Next Time That You Leave".
La discreta stanchezza dell'autore si misura anche in una sempre più maniacale attenzione alla produzione scintillante, comunque inquieta o indecisa tra l'arrendevolezza saggia e l'irruenza del tempo passato, vedi “Wasted World”. “Argos” è invece una della sue più veritiere volate pop-core della carriera post-Husker Du, e “Lifetime” - all'estremo opposto - è un esperimento slowcore.
Ciò che mette in chiaro la collezione (breve, fortunatamente) è l’animo di Mould, definitivamente pedissequo, da pensionato innamorato di muzak, greve anche nelle arringhe giovanili, quasi recitate da un piedistallo che neanche un decennio fa avrebbe rifiutato a tutta forza. Pur non essendo un supereroe, può considerarsi tolto dall’impaccio della febbre da star-system alternativo.
20/04/2009