Comus

Out Of The Coma

2012 (Rise Above Records)
acid-folk, prog-rock
7.5

Che si voglia ricondurre il loro nome all'antica divinità greca Comus, legata alla forza seduttiva del caos e del disordine, o alla masque concepita dallo scrittore seicentesco John Milton, imperniata peraltro su una figura divina accostabile alla suddetta, poco importa. Quel che interessa è che dopo ben 38 anni di silenzio totale, escludendo le varie ristampe e la recente reunion dal vivo con una line-up praticamente invariata, i Comus siano tornati a produrre musica.

"Out Of The Coma" è il prosieguo della breve vita di questa leggendaria band inglese, madre spirituale di quel folk oscuro che sarebbe poi stato ribattezzato "apocalittico" col sangue di David Tibet, e fa letteralmente il paio con "First Utterance" - il memorabile esordio del 1970 - ponendosi al suo seguito senza soluzione di continuità e abbattendo il muro stilistico, di matrice decisamente pop, innalzato con l'allora mal salutato "To Keep From Crying", datato 1974.
A giudizio dello stesso Roger Wootton - mente, lead guitarist e vocalist dei Comus - l'idea di questo vero e proprio "risveglio" sarebbe nata dal forte desiderio di liberare quel "Prisoner" con cui si chiudeva "First Utterance", creando così con quest'ultimo uno stretto legame artistico-narrativo (d'altronde, basterebbe un semplice sguardo alle copertine di entrambi gli album, disegnate dallo stesso Wootton, per rendersene conto).

La percezione di questa prolungata assenza si annulla quasi del tutto con l'ascolto dell'opening/title track; il messaggio è già lì, nudo e crudo: "Out of oblivion, my dormant soul is shaking... Out of the coma, rising up from the tomb... Out of the coma, into a second lifetime". Con le vesti di un inno sofferto a una seconda esistenza, il brumoso folk pagano dei Comus torna a erompere dagli arpeggi e dalla versatile voce di Wootton, dalle dodici corde della chitarra di Glenn Goring e dai sospiri metronomici di Bobbie Watson in un turbine di bucolica frenesia medievale.
"The Sacrifice" è una struggente composizione ancestrale che nasce dal canto di sirena di Watson, per nulla sfiorito dal tempo, e che si consuma in un ritmo via via più concitato, dettato dal basso pulsante di Andy Hellaby, dal flauto simil-andersoniano di Jon Seagroatt (fiatista succeduto a Rob Young nel 2008) e dall'arco invasato di Colin Pearson; Wootton è lo sciamano dalla voce infervorata che presiede il rito immolatorio della "fairest maiden", offerta al "Signore della morte e della nascita". "The Return" è un lament in stile neo-folk che ammalia per le modulazioni della vocalist, quasi puerili in certi passaggi e sensualmente bisbigliate in altri, oltre che per l'incantevole oboe di Seagroatt.

"The Malgaard Suite" è infine una preziosa testimonianza di quanto i Comus avrebbero potuto riservarci nell'immediato post-"Utterance" se le cose fossero andate diversamente. Riesumata dalle polveri di una registrazione amatoriale di un focoso live all'Eynsford Village Hall, nell'estate del 1972, questa lunga pièce è la quintessenza di quel folk acido che ha avuto nei Comus il suo "non-plus ultra": quindici minuti di possessione demoniaca ed estasi psichedelica che generano totale noncuranza verso la scarsa qualità della registrazione.

Un raro esempio, nel generale sensazionalismo che accompagna i numerosi ritorni sulla scena, di capacità creativa ancora lontana dall'esaurirsi.

02/06/2012

Tracklist

  1. Out Of The Coma
  2. The Sacrifice
  3. The Return
  4. The Malgaard Suite

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