Vedendo un soggetto come Alexis Taylor sembra di trovarsi davanti a un personaggio uscito direttamente da Big Bang Theory: un nerd occhialuto le cui passioni sono PlayStation, fumetti e Star Wars. Invece no: Taylor è un artista intelligente, che in quattro album ha avuto la capacità coi compagni di avventura di diventare uno degli alfieri di quel pop sperimentale che passa tra funky, dance e indietronica.
Sono ormai passati due anni dal synth-pop di "One Life Stand", e anche stavolta le attese sono tante: fino ad ora i lavori della band sono sempre stati interessanti, mai banali, esempi di varietà e compattezza in un connubio di elettropop e atmosfere sognanti. Ma è difficile, oggi, ricalcare le orme dei primi due album, e "In Our Heads" ne è la prova.
L'album è composto da due anime che si intrecciano con risultati non sempre esaltanti. La prima è frutto dell'audacità musicale della band: in "How Do You Do", ad esempio, le sonorità techno/house (sviluppate gradualmente dall'attività di disc jockey dei singoli componenti del gruppo, soprattutto da Joe Goddard, impegnato nel side-project 2 Bears) sembrano riprendere alcuni temi cari ai primi Daft Punk.
"Night & Day", il primo robotico singolo dell'album, stupisce pienamente grazie alla ventata di freschezza e lucidità che riesce ad esprimere, e da un momento all'altro sembra di trovarsi nel territorio di Pacman, intento a mangiare più puntini possibili nel famoso labirinto.
La seconda anima è più malinconica: in "These Chains" un tappeto dance molto anni 80, dai tratti chill-wave, fa da sfondo alla voce pensosa di Taylor - voce che però non convince altrettanto altrove. La ballata "Look At Where We Are" è l'emblema di questo lato più meditabondo dell'album, ma risulta stucchevole e perfino noiosa. Gli Hot Chip sono ancorati ai lavori precedenti, cercando di sposarne lo stile con sonorità più intime che però, almeno per ora, stentano a decollare in quanto a efficacia.
La fatica in studio di Taylor e compagni riesce comunque a creare un alone di interesse attorno a sé, e si attesta su un livello più che sufficente. Parlare di passo falso è dunque eccessivo, e sorge il sospetto che se non conoscessimo le capacità degli Hot Chip il giudizio sull'album potrebbe essere più alto. Da un gruppo di tale caratura, però, è obbligatorio aspettarsi qualcosa di meglio.
La speranza è che l'energia e la voglia di stupire del gruppo non stiano spegnendosi, impantanate tra un brillante passato che rende il presente un po' sfocato e un futuro ancora più indecifrabile ed enigmatico. Buona l'idea, meno l'esecuzione.
08/07/2012