Un disco senza violenza.
Carico di nostalgie, malinconia e riflessione. Di sfumature.
È la testimonianza di una fuga, della ricerca di una cura, dalla nostra civiltà, dalla nostra società dai ritmi belligeranti; una ricerca "romantica" nel suo senso più letterario, imbevuta di una specie di primitivismo, di visione idilliaca della foresta, che vede la natura come mezzo per spurgare fluidi negativi, corrotti.
“Fitoterapia” è una trama sottile, capace di far trasparire leggeri bagliori e riflessi bianco scuri. Traspare una forte coesione che lega ogni parola, ogni nota o campione, come in una lunga suite ambient intrecciata d’innesti folk acustici e field recording, che segue la sua evoluzione lentamente, in un flusso emotivo - mentale ininterrotto.
Di passaggio in passaggio, silenzi e ritmi dilatati scandiscono il passaggio dalla caduta spirituale al risveglio. Un percorso che non soffre di astrazione intellettuale, ma di una sincera, umile, semplicità, capace di rendere dense melodie al limite dell’onirico, sorrette da fruscii di discorso.
La voce di Lullabier si muove discorsiva, ma talvolta segreta.
In un soliloquio aperto a pochi intimi, sorretto da poche note di chitarra, si susseguono le narrazioni di una vicenda racchiusa in un’individualità meditata e ricca di coscienza.
Nonostante alcune inutili, e forse retoriche, reiterazioni di campionamenti o di arpeggi chitarristici, “Fitoterapia” riesce a disegnare una storia sotteranemente tortuosa:una storia d'
amore per la solitudine, descritta sottovoce, e con pacata lentezza, interrota dal ritorno all'umanità, necessario e prevedibile.
Un percorso inquieto di chiusura in sé stessi, che non soffre di inutile egotismo e sanguina di cruda riflessione.
22/11/2012