Ognuno di noi ha i suoi deja-vu, attimi di strana connessione mnemonica con eventi e stati d'animo già vissuti, ed è quindi normale che l'esordio illuminato e minuzioso di Mary Epworth, "Dream Life", mi possa rimandare a uno dei tesori nascosti della discografia canadese, ovvero "Miss America" di Mary Margaret O'Hara, ma non per una similitudine stilistica quanto per la stessa autorevolezza. Anche la tormentata vicenda della realizzazione e pubblicazione dell'album evoca le difficoltà della O'Hara: il produttore Will Twynham ha lottato per tenere Mary Epworth lontana dalle tentazioni mainstream, evitando che il successo del fratello Paul Epworth (Adele) come produttore potesse inficiare il progetto finale, e questo ha reso il parto lungo e laborioso.
La voce di Mary Epworth è singolare e matura, possiede un fascino straniante e poco classificabile, sfuma su mille toni e colori senza perdere intensità.
La sua musica ha una forza lirica che è figlia di Kate Bush e Peter Gabriel, ma nelle sue strutture più recondite denota fragilità e ansie con la stessa forza poetica di Paul Simon.
Non è forse una "Bridge Over Troubled Water" della nuova era, la romantica ballata in bilico tra folk e progressive "Long Gone"? E "Sweet Boy" non ha il fascino di una qualsiasi canzone di "Bookends"? Ma non fantasticate alcuna connessione stilistica: la Epworth possiede la chiave di accesso all'originalità.
Surrealismi folk ed etnici incrociano reliquie art-rock, tra solari incursioni nel surf e nella psichedelia in "Six Kisses" e poco dopo inattesi accenni di gospel e black music in "Heal This Firty Soul". Una varietà di stili che fa da cornice a una serie di pop-song ricche di modernità e tradizione, come nell'inconsueto incontro tra banjo, synth, ritmi e fiati della sfavillante "Black Doe", un brano posseduto dall'urgenza dei furiosi anni 90 e da un muro del suono ricco di seduzione.
Un'artista coraggiosa e consapevole, che raccoglie l'eredità di Genesis, Talk Talk e Cocteau Twins senza alcuna veemenza, con brani dal fascino etereo e sognante ("Those Nights") o mantra dalle fogge pagane, come la suadente "Trimmed Wing", ricca di primigenie contaminazioni folk-rock.
La grande intuizione stilistica di questo esordio è il mix tra la perfezione degli arrangiamenti e il tono quasi shoegaze delle chitarre e dei ritmi. Come negli album di Todd Rundgren, si resta colpiti dalle sonorità ruvide e altresì brillanti di ogni frammento. C'è una tensione emotiva continua nelle undici tracce, una intonazione surreale che dà vita a un folk ricco di trance psichedelica in "Two For Joy" o a inattese gemme soul-pop come "Six Kisses", che sembrano uscire da un vecchio album di Laura Nyro.
Nulla rifugge nella banalità o prevedibilità in "Dream Life": l'incontro con i Sixties e il beat di "Come Back To The Bough" è ricco di inventiva, mentre l'euforia vocale di "If I Fall Now" serve solo a trascinarci verso il brano più pop e lineare dell'album, ovvero quella "Ray Of Sunlight" che ci ricorda ancora una volta la grande tradizione del cantautorato: un ponte che lega Carole King a Sandy Denny, ma anche Brian Wilson a Marc Bolan.
"Dream Life" non è il timido esordio di un’artista dalle infinite potenzialità e Mary Epworth non è una nuova songwriter di belle speranze. Manca la fragilità di molte opere prime, e un suono così ricco e raffinato potrà anche sembrare ostico a un primo impatto, ma quando le perplessità saranno sconfitte, resterà solo piacere allo stato puro.
31/08/2012