Per l'artista padovana è arrivato il momento di chiudere un nodo di crescita creativa ed emotiva.
Se il precedente "People's Temple" del 2010 era riuscito a dimostrare una forma più internazionale e complessa nelle soluzioni stilistiche, il nuovo "Dark Days, White Nights" potrebbe segnare il passaggio all'età matura, in cui l'attitudine electro-pop e synth-punk dimostrata finora possa indirizzarsi in una forma più evoluta e meno ripetitiva.
Il nuovo album rappresenta pienamente questo tentativo, questa necessità, ma cade nella trappola della dispersione e della vacuità.
Un brano come l'opener "New Colony" è emblematico, con il suo cupo intimismo che cerca una sfumatura gotica, simile a quella di Annie Marie Hurst degli inglesi Skeletal Family, ma si perde in una piatta ripetitività non incisiva.
Il singolo "Drownin" riesce a incunearsi tra i muscoli dell'ascoltatore grazie al suo groove distorto, in bilico fra electroclash e velocità punk, peccato però che sembri un'outtake del precedente Lp.
A metà strada tra questa direzione e un nuovo assestamento troviamo le centrali "She Never Dies" e "Unleashed", che però soffrono il loro bi-frontismo, rimanendo a metà della trasformazione, senza una direzione precisa tra ritmiche serrate e un lirismo oscuro più dilatato che cerca di affermarsi.
Molto più riuscite sono le aperture oniriche di Tiffany in "Sinistral" e "5AM" in cui l'energia elettrica si converte di materia surreale in bilico sulla realtà, con i synth e le chitarre aperte a una luce nuova, positiva e meno inquieta.
In questo movimento eterogeneo all'interno del disco, fra nuovi e vecchi rimandi si crea un'immagine sfocata del tutto, che annacqua il mood generale del disco.
Si raggiunge la fine con "White Night", brano crepuscolare dal cantato malato e ansimante, lineare ma evocativo. Una conclusione decadente e minimale per un disco combattuto e disordinato, in cui alcuni spunti hanno perso rilevanza, soffocati da una struttura estremizzata nei suoi cliché passati.
19/02/2012