Raster-Noton come sinonimo di quell'estetica sonoro-visiva conosciuta universalmente come abstract-techno, vivaio e culla di gestazione della stessa, come casa madre alle spalle di una delle branche più innovative dell'elettronica moderna e centro nevralgico di un vero e proprio movimento. Di parole sulla scuderia della label tedesca e sulla sua attività se ne sono spese parecchie negli anni, folgorati come si è rimasti da una tale coerenza di catalogo e intenti, che permette oggi di inquadrarla come il centro nevralgico di un vero e proprio movimento musicale.
Centro che nacque ormai quattordici anni fa, frutto della fusione di due label precedentemente distinte, gestite da musicisti che possono essere considerati gli antesignani del suono abstract: la Noton del famigerato Carsten Nicolai aka Alva Noto e la Raster, di proprietà di Olaf Bender (Beytone) e Frank Bretschneider (Komet).
Se Nicolai (e Alva Noto in maniera particolare) rappresenta il volto glitch-oriented, dinamico, sfavillante e cinematografico - nonché il più noto e coinvolgente - della “techno astratta”, Bretschneider incarna quello più minimal, sintetico, formale e statico della stessa. E se l'ultimo Alva Noto, risalente ormai a due anni fa, era stato uno dei dischi più riusciti e freschi del 2011 elettronico, per trovare una prova del fu-Komet in grado di risaltare oltre l'ordinario bisogna tornare indietro al 2004 e a quel gioiello ambientale in limited edition intitolato “Looping I-VI (And Other Assorted Love Songs)” e licenziato dall'impeccabile 12k di Taylor Dupree.
Questo nuovo “Super.Tragger”, invece, tenta nuovamente con scarso successo di indugiare su quei suoni che da quattro album a questa parte costituiscono lo spento universo creativo del tedesco: insipide marcette nel vuoto più totale dove la noia regna sovrana (“Flicker.Funk”, “Pink.Thrill”, “Day.Dream”), sbalzi ritmici non abbastanza ruvidi per graffiare (“Big.Hopes” - che pare quasi una brutta copia del già non brillante, ultimo Springintgut - “Black.Out”, “Machine.Gun” e la title track) e accelerazioni metalliche prive di qualsivoglia frenesia (“Over.Load” e la conclusiva “Mean.Streak”).
Nulla che non si fosse già purtroppo sentito nel passato recente, tanto che risulta difficile da comprendere cosa voglia esprimere oggi Bretschneider con la sua musica. Per gli appassionati della techno svuotata di ogni forma vitale – quegli stessi che potrebbero erigere Mark Fell a loro divinità protettrice – si tratterà di un album nella media come tanti sono usciti, escono e usciranno.
Anche in tale contesto manca però uno spunto, un elemento nuovo, un bagliore che riempia di sostanza una forma che suona ogni disco sempre più stanca e datata, che sente addosso il peso degli anni e paga la scelta del suo autore di rinunciare a qualsiasi evoluzione, in nome di una purezza che va sempre più a pari passo con la monotonia. Per tutti gli altri, nulla più di tanta noia.
09/07/2013