Dire che si tratta del disco siciliano di Cesare Basile potrebbe suonare pleonastico. Questo disco, che per inciso ha per titolo lo stesso nome del cantautore catanese, è l’ultimo di un’ormai lunga serie di dischi che bene o male non possono non essere definiti a loro volta così. Siciliani, cioè. Però ad ascoltare, a dare una scorsa ai testi, a leggere le dichiarazioni d’intenti di Basile, il concetto si chiarisce. Nessuna ovvietà, niente di scontato: “Cesare Basile” è il disco siciliano di Cesare Basile, sì. Adesso vi spieghiamo perché.
Il primo dato si riferisce alla lingua. Questo disco, prima che siciliano, è in siciliano. Non tutte ma oltre la metà delle dieci canzoni che lo compongono sono cantate così, nella lingua dell’isola, nella lingua madre di Basile. Quindi, di conseguenza, la comprensione piena da parte di chi siciliano non è va immediatamente bandita dal novero delle nostre umane ambizioni. Peccato? No. Perché mai come in questo caso lingua e musica e spirito di Basile si mischiano. Perché in un modo o nell’altro la rabbia si capisce, il dolore si capisce. La passione si capisce, benissimo.
Le canzoni di questo disco, dice Basile, sono nate senza essere né scritte né suonate, forse senza essere nemmeno immaginate. Sono nate tra il sudore e la fatica, tra il suo Arsenale, il collettivo di musicisti e agitatori culturali che lui chiama Federazione siciliana per le arti e la musica, e il teatro Coppola occupato di Catania. Una Sicilia nuova, una maniera nuova di fare cultura, musica, arte, di fare società. Una maniera lontana dal potere, a sentir lui, anzi del Potere, con la maiuscola, che in nessun altro luogo come a casa sua sa essere spaventoso e pericoloso e annichilente.
Le storie raccontate in questo disco rispecchiano la storia del presente e del passato di Cesare Basile e della sua terra, e come sempre ci sono gli sfruttati e gli incazzati, i potenti e i prepotenti, ci sono donne umiliate e lavoratori senza dignità, amori ingiusti e molto sangue versato. Cantastorie epico e doloroso, voce di lama e occhio diffidente, Basile suona lento e veloce, di tradizione e di idee nuove, e suonando brucia e fa bruciare.
Sul finire della raccolta, poi, ecco il piccolo colpo di classe. Semplice semplice, come una recita impossibile, Basile si mette nei pensieri e nella voce di chi forse più di tutti ha cambiato l’idea di canzone nel Novecento, e pensa di scrivere all’uomo che mandò a morte Sacco e Vanzetti, altro punto di svolta per la cultura popolare e alta del secolo scorso, che spiegò al mondo cosa poteva essere l’America: “Lettera di Woody Guthrie al giudice Thayer”, tutta in italiano, è un canto d’ingiustizia che trova posto tra il meglio di ciò che è mai uscito dalla penna e dalla chitarra di Cesare Basile.
28/02/2013
1. Introduzione e sfida
2. Parangelia
3. Canzoni Addinucchiata
4. Nunzio e la Libertà”
5. Marilitta carni
6. Minni spartuti
7. L’Orvu
8. Caminanti
9. Lettera di Woody Guthrie al giudice Thayer
10. Sotto i colpi di mezzi favori.