Covenant

Last Dance

2013 (Dependent/Metropolis)
future-pop, synth-pop

Coi VNV Nation ad aver abbracciato da tempo le vie della trance e del synth-pop meno oscuro, e con gli Apoptygma Berzerk ad aver man mano accostato ai sintetizzatori le chitarre, sfociando in territori pienamente industrial-rock, i Covenant sono forse gli unici, tra i nomi storici della corrente, ad aver proseguito imperterriti sulla strada del future-pop, ridefinendone le fattezze e distillandone l'essenza in un sound che, specialmente negli ultimi due full-length (“Skyshaper” del 2006 e “Modern Ruin” di cinque anni dopo), è assurto allo status di classico, la perfetta testimonianza di come il “pop del futuro” potesse e dovesse suonare, una volta arrivato alla piena maturità d'espressione.
Non stupisca quindi come in fondo, di reali novità da parte degli Svedesi in tempi recenti non ve ne siano state molte, quanto piuttosto un consolidamento, un'orgogliosa (e bellissima) presa di posizione rispetto al proprio passato e al proprio stile, smosso e agitato in continuazione dall'interno, piuttosto che sconquassato da ingerenze esterne.

Alla “regola”, com'era palese che fosse, non sfugge nemmeno il nuovo Ep della compagine, corposa anticipazione (oltre mezz'ora di musica) dell'ottavo studio album “Leaving Babylon”. Chiaro, la durata contenuta (per una band che solitamente sfora abbondantemente i cinquanta minuti a disco) e la veste di cappello introduttivo a un lavoro di più ampio respiro non fanno il gioco di Eskil Simonsson e soci (ognuno dei quali ha scritto uno dei quattro inediti del lavoro), a maggior ragione quando la canzone-traino è riproposta anche in altre due versioni che ne riprendono il tiro melodico. Ciò nonostante, pur alle prese con un'anteprima, sembra che il tempo non riesca proprio a scalfire i Nostri, che per quanto si sforzi, alla fine siano loro ad uscirne sempre vincitori.

E se le premesse sono queste, c'è di che ben sperare, anche questa volta: il melodismo cupo e penetrante, per quanto mirato spesso a un fruibilità di taglio (synth-)pop e a un disegno di generale ballabilità (che diventa perversamente strisciante in un episodio più irregolare quale “We Go Down”) non perde una tacca del suo elegante fascino oscuro, rimarcato costantemente dal baritono stentoreo di Simonsson. Parimenti, anche nel brano più strettamente legato al dancefloor, ossia la title track (qui riproposta anche nei due buoni remix che ne sottolineano lo slancio technoide), il discorso non prescinde mai da una certa tenebrosità di fondo, forse non sorretta da una scrittura davvero penetrante (siamo ben distanti da una “Ritual Noise” o da una “Judge Of My Domain”), ma che regala comunque bei quarti d'ora.

Insomma, “Last Dance” è un succulento antipasto in attesa del piatto forte, previsto per questo settembre.

10/07/2013

Tracklist

  1. Last Dance
  2. I Scan The Surface
  3. Last Dance (Modulate Remix)
  4. We Go Down
  5. Last Dance (Version)
  6. Slowdance

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