Frankie Rose

Herein Wild

2013 (Fat Possum)
synth-dream-pop, jangle-pop

Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quel che lascia non sa quel che trova: si potrebbe descrivere con questo proverbio antico quando il mondo la nuova fatica della polistrumentista Frankie Rose, e non si cadrebbe di certo in fallo. Sapendo bene a cosa sarebbe andata incontro nel calcare binari più consueti, la musicista di Brooklyn non soltanto li percorre con convinzione ancora maggiore, ma sembra proprio non volerci rinunciare in alcun modo.
“Herein Wild”, secondo disco solista separato poco più di un anno dall'ottimo “Interstellar” della passata stagione, è il prodotto, la diretta conseguenza spiattellata su disco di una simile scelta. Non si tratta di certo né della prima né dell'ultima musicista a tenersi stretta gli abiti dell'esordiente, ma qualsiasi decisione comporta un effetto, e in questo caso non è proprio dei più soddisfacenti. Chiamatelo effetto carta carbone, definite pure i nuovi brani scarti di lavorazione del debutto: in qualunque modo vi riferiate alla nuova fatica, tenete presente che quello slancio d'ispirazione che aveva infiammato la colonna sonora del recente viaggio interstellare qui è pura preistoria. Sarà anche questione di attese mal riposte, ma la delusione a questo giro è forte: sperare che questo non sia già l'inizio della fine è comunque il minimo che si possa fare.

Di novità all'orizzonte, appunto, nemmeno a parlarne. Non sarà di certo qualche spento inserto d'archi oppure una più muscolare sezione ritmica (il suo passato di batterista che torna a bussare alla porta) a costituire una reale differenza rispetto alle canzoni/non-canzoni dello scorso disco. Piuttosto, al centro del discorso figurano nuovamente i fitti dialoghi tra synth (ora deciso supporto ritmico ora accompagnamento d'atmosfera) e chitarre jangly, qui decisamente più sfruttate e ricorrenti che in passato: un sound che nonostante la sua intrinseca prevedibilità d'utilizzo preserva ancora tutta la sua plasticità e la capacità suggestiva, per arrangiamenti che anche stavolta sono un notevole punto di forza della raccolta.
Ma quando la scrittura, per quanto anche stavolta non finalizzata a melodie realmente definite, comincia a latitare, ci sono ben poche scuse che tengano. La voce fumosa della Rose, costantemente riverberata, persa nei suoi languori ipnotici, vaga quasi senza meta, senza la guida di un alveo che ne indirizzi il percorso. Al posto dei climax di “Had We Had It” il pulsare dei sintetizzatori qui partorisce progressioni slavate come quella di “Minor Times”, mentre alle chitarre assassine che puntellavano un motivo quale “Night Swim” arriva in sostituzione la stanchezza compositiva di “Into Blue”, paradiso synth-jangle che avrebbero potuto concepire dei Real Estate improvvisamente infiacchiti.

In questo tripudio di copie sbiadite, resta alla fine qualcosa da salvare? Ben poco, va detto. Tra buone idee sperperate con assoluta nonchalance (l'attacco melodico di “Cliffs As High” nascondeva grande potenziale), giusto l'accoppiata “Heaven” (energico dream-pop memore dei trascorsi di Frankie nella scena garage newyorkese) - “Street Of Dreams” (il brano più smaccatamente eighties del lotto, convincente pur in tutto il suo revivalismo) regala più di qualche fugace sensazione. Non proprio quanto basta anche soltanto a valutare l'ipotesi di un'eventuale sufficienza.
Un vero peccato. Chissà se la smentita e la ritrovata ispirazione non arrivino pronte con il suo prossimo lavoro.

14/10/2013

Tracklist

  1. You For Me
  2. Sorrow
  3. Into Blue
  4. The Depths
  5. Cliffs As High
  6. Minor Times
  7. Question Reason
  8. Heaven
  9. Street Of Dreams
  10. Requiem

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