Non è certo facile parlare di un disco come questo: un disco che ti travolge, fin dal primo ascolto, con uno sbocciare di accordi e melodie che fa esplodere un turbine di colori, che a poco a poco si trasformano in immagini, in bilico tra la nostalgia e il sogno. Finalmente un disco poco "pensato", in cui l'estetica lo-fi e la coolness ricercata dell'ondata nu-psych della Woodsist viene superata da una carrellata di canzoni davvero notevoli.
Il miracolo va ascritto al "gruppo di fenomeni" dei Real Estate, che già avevano fatto breccia nella scena americana col precedente, omonimo esordio, tanto da approdare alla Domino, etichetta di rilievo che ha permesso loro di registrare il disco non più nel basement dei genitori ma in uno studio vero e proprio, in compagnia di Kevin McMahon (Titus Andronicus, Walkmen).
Nei pezzi di "Days" la confidenza con gli accordi - che già aveva dimostrato Matthew Mondanile, il chitarrista della band, nel suo progetto solista Ducktails - concentra i passi del disco in un fascio preciso e denso, in cui il lavoro di rifinitura è camuffato da una semplicità da grande band. Quasi jangle le chitarre zigzaganti di "Easy", in cui i Real Estate danno il primo saggio della complementarietà degli stili dei musicisti: una sezione ritmica molto solida, dalle linee di basso disegnate come travi infrangibili al rotondo battito di batteria, su cui passeggiano con aria dandy gli intrecci di ritmica e lead (grande in questo senso la strumentale "Kinder Blumen"), quelli che, col loro suono secco, alla Feelies, rappresentano l'aggancio più evidente con l'esperienza precedente della band.
Ma è grande e inusuale soprattutto la raffinatezza del disco, il quale, in alcuni casi, può ricordare una versione ringiovanita e hipster dei Clientele, o una raccolta di b-side casalinghe di George Harrison (il solare infantilismo a naso all'insù di "Wonder Years"). "Municipality" va citata, uno dei momenti di più alta scrittura della band: il riff adagiato sull'incedere quasi dronico ma sbarazzino, premonitore degli altri strumenti, la strofa che incalza pian piano sull'onda dell'insinuante arpeggio, il ritornello che tira ruffianamente la volata al ricamo di pianoforte. Oltre a questo, accenni anche di new wave in "It's Real", che si trasfigura nella strana ma riuscita ibridazione con le melodie surf-pop della band. E cosa dire di "Out Of Tune", del suo straniato lirismo alla "The Trials Of Van Occupanther", dell'arrangiamento di tre chitarre che non sembra mai lo stesso pur rimanendo uguale, delle improvvise pennellate di tastiera e di piatti?
"Days" mette forse la parola definitiva sul movimento catalizzato dalla Woodsist, quello che si immagina e sogna la West Coast in un seminterrato del New Jersey. Non solo esponenti minori come i Ganglians, ma anche gli stessi Woods non hanno mai raggiunto l'universalità di un disco come questo dei Real Estate, neanche nel loro più compiuto "At Echo Lake".
Il gruppo di Bleeker, Courtney, Mondanile e Mauer ha deciso di fare il passo verso la maturità e ci è riuscito senza mostrare un solo capello bianco: palla agli altri.
10/10/2011