Che estate sarebbe, senza un disco degli Woods? I quattro di Jeremy Earl sono nati nel 2005 e contano, con questo "Sun And Shade", il sesto disco della loro produzione, con il precedente "At Echo Lake" ancora fresco di uscita, giusto un anno fa.
Il percorso di lineare e progressiva normalizzazione della loro estetica un po' poseur di lo-fi da audiocassetta, quello che avvolgeva il loro intrico tropicale di folk e psichedelia e sunshine pop, raggiunge qui lo stadio forse finale di sbrogliatura. "Sun And Shade" pare infatti quasi un disco d'altri tempi, non fosse per il falsetto freak di Earl e per qualche effetto di rumorismo disturbante, probabilmente "da contratto" data l'etichetta - ormai di primo piano nel mondo indipendente americano - che li pubblica da anni, la "famigerata" Woodsist.
La quasi totalità dei pezzi di "Sun And Shade", ancor più che in "At Echo Lake", è formata da motivi tersi, quasi da filastrocca sixties, quando ancora si inseguiva il canone dei tre minuti. Gli arrangiamenti si fanno più lineari (acustica e lead guitar nella stragrande maggioranza dei casi), le canzoni diventano immediatamente riproducibili, come se l'istinto di nascondersi sia scomparso con il procedere della carriera e il raggiungimento di una discreta popolarità.
Trapelano così in maniera più netta i tributi a Neil Young ("Be All Be Easy"), ma soprattutto ai Byrds ("Any Other Day", "What Faces The Sheet"), a riprodurre quel momento in cui il folk-rock cedeva il passo agli Association e ai Beach Boys. Qualcuno saprà - o vorrà - scovare anche una certa vena dylaniana ("Hand It Out").
Una scarnificazione che, se prima era auspicabile, ora comincia a sembrare costringente e fin troppo semplicistica, un indebolimento insomma, per quanto il gusto per la melodia sia rimasto in buona forma. Per questo forse gli Woods propongono un paio di deviazioni fortemente dissonanti rispetto alla maggioranza delle tracce, invece di incastonare le variazioni nel normale corso dei propri pezzi, come avveniva in precedenza.
Prende così vita la psichedelia dronica, kraut-rock di "Out Of The Eye" e "Sol Y Sombra", tracce che insieme contano diciassette minuti di costante, monocorde duetto di basso e batteria, e che sembrano inserite in scaletta più che altro per ricordare al pubblico e a loro stessi che, sotto sotto, "c'è di più". Non è questo il problema: val la pena giusto di rallentare un attimo questo ritmo iperproduttivo e di concentrarsi semplicemente sul fare musica senza preoccuparsi di suonare abbastanza anticonvenzionali.
06/06/2011