Iggy & The Stooges

Ready To Die

2013 (Fat Possum)
garage-punk, rock

Al cospetto di una leggenda vivente (meglio: di un sopravissuto alla propria leggenda) come l’ultimo Iggy – perché, che sia Iggy o i nuovi Stooges o Iggy & The Stooges, ruota sempre tutto attorno a lui – due sono gli stati d’animo, contrastanti, che non fanno che assillare (e vacillare) il recensore. Da un lato essergli grati per quella genuina e totale mancanza di pudore che forse è il segreto della sua longevità musicale e perché gli animali da rock come lui sono specie ormai quasi estinta, dall’altro sentirsi profondamente in imbarazzo (per lui). Gli eterni ritorni dei vecchi campioni che si credono ancora tali hanno sempre qualcosa di patetico e insostenibile, qualcosa di cui non vorresti essere testimone. E in un caso come questo è il secondo sentimento a prevalere distintamente.

Dopo il sostanziale fallimento dell’operazione di restyling albiniana (“The Weirdness”) e la morte di uno dei loro uomini simbolo (il mitico chitarrista Ron Asheton), i nuovi Stooges sembravano intenzionati a giocarsi l’ultima carta rimasta loro in mano: un ulteriore rimpasto storico-stilistico che ha visto il ritorno nella formazione titolare di James Williamson e la conseguente celebrazione dei fasti di “Raw Power”, l’ultimo vero album stoogesiano degno di questo nome, prima con la riedizione dell’originale (nel 2010) e quindi con un tributo dal vivo (“Raw Power Live: In The Hands Of The Fans”, 2011). Il che di per sé non era mica una cattiva notizia, anzi, semmai è il contrario: il grande (e non l’unico) problema del nuovo “Ready To Die” è che, a quarant'anni di distanza, di quel garage-glam tutto eyeliner sbavato e coltellaccio a serramanico non è rimasto praticamente nulla, se parliamo di sonorità e meno che meno a livello di scrittura. Infatti, nonostante l’impegno di Williamson (anche produttore) che si prodiga nei suoi tipici assoli tirati, insistiti e un po’ invadenti e la presenza di eccellenti musicisti come Mike Watt al basso e Steve Mackay al sax, il rifferama è modesto e la voce di Pop, carismatica e vissuta finché si vuole, ormai quasi del tutto priva del mordente dei suoi numeri migliori. E l’insieme, più che gli Stooges vecchi o nuovi, ricorda una versione peggiorata di certi dischi solisti dell’Iguana a inizio anni 90.

Facile, magari a posteriori, prevederlo, più difficile capacitarsi che un gruppo con un nome (e dei nomi) del genere riesca a racimolare la miseria di due-tre brani utili su undici. Un pezzo come “Dirty Deal”, punk’n’roll contrastato e dissonante con il sax in evidenza, ci dà dentro come si deve, se non altro, mentre di “Dd’s” va detto che ha un discreto groove e poi immaginarsi il 66enne Pop in adorazione di un paio di tettone misura “double D” (una nostra “quinta” all’incirca) fa sempre un po’ simpatia e tenerezza (“I’m down on my knees/ for your Dd’s”). A queste potremmo aggiungere un brano acustico e introspettivo, tipico dell’Iggy senile, come la quasi alt-country “The Departed”, ma il giudizio complessivo cambierebbe poco.
Quanto al resto è come una colossale pillola di Viagra che non fa effetto, fra "punkettoni" adolescenziali senza capo né coda come “Job” (“I’ve got a job but i don’t make a shit/ I’ve gotta a job and i’m sick of it”: eh, figurati noi!) o “Gun”o la più funkeggiante “Sex And Money” e non è che sia molto d’aiuto alzare i volumi delle chitarre come in quella specie di street-rock anni 80 che è la title track.

L’unico aspetto positivo di questo disco è che, magari, sarà il pretesto per vederli dal vivo anche dalle nostri parti. E là potrebbe essere (anche letteralmente) tutta un’altra musica.

07/05/2013

Tracklist

  1. Burn
  2. Sex And Money
  3. Job
  4. Gun
  5. Unfriendly World
  6. Ready To Die
  7. Dd's
  8. Ready To Die
  9. Deat That Guy
  10. The Departed
  11. Dying Breed

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