Nei primi due capitoli della sua carriera solista, Julia Kent si era dedicata a trascrivere in musica le atmosfere, i rumori e le peculiarità di luoghi e paesaggi più o meno circoscritti. Nell'esordio“Delay” (2007) si trattava di aeroporti, nel successivo “Green And Grey” (2011) della natura e delle modifiche a essa apportate dall'uomo.
Un tema che la violoncellista di Montreal - ma ormai a tutti gli effetti newyorkese - continua a sviluppare anche nel terzo capitolo della serie (il primo da quando si è accasata presso la Leaf), seppure con una novità sostanziale. Già dal titolo, infatti, “Character” devia l'attenzione dall'ambiente circostante al protagonista della narrazione. Il viaggio, questa volta, è dentro se stessa. Uno spostamento di prospettiva dettato principalmente da due fattori: in primis, l'assoluta solitudine nella quale la Kent è solita immergersi in fase di composizione del suo repertorio solista; e poi, non meno importante, il bisogno di affermare come, in un'epoca come quella attuale - caratterizzata dal quotidiano bombardamento di inutili informazioni, nonché da un ventaglio di scelte che sembra infinito - sia fondamentale recuperare le proprie coordinate e ritrovare i veri interessi: ciò che la stessa artista definisce appropriatamente “mappa interiore”.
Sotto il profilo musicale, “Character” segue le orme dei due album che l'hanno preceduto, cercando semmai di affinarne la scrittura ed evidenziarne le peculiarità. Il sound risulta essenziale anche laddove gli elementi si stratificano: violoncello, field recording e soffusi accompagnamenti elettronici s'intrecciano, tracciando traiettorie in grado di abbracciare l'intero spettro emozionale, dalle aperture ariose ai passaggi cupi e introversi, perseguendo il fragile equilibrio tra sperimentazione e tensione espressiva. Obiettivo che “Character” raggiunge con apparente facilità, consacrando Julia Kent non solo come musicista di rango (Antony And The Johnsons), ma anche quale raffinata compositrice.
Il torpore diffuso circoscritto dal droning di “Ebb” si tramuta nell'elegante fraseggio di “Transportation”, brano capace di schiudersi un giro dopo l'altro. “Flicker”, a suo modo il pezzo più barocco dell'opera, apre la strada alla circolare sontuosità di “Tourbillon”, la stella più brillante nel firmamento privato della violoncellista canadese. La parte centrale di “Character” ne rappresenta il versante più oscuro, declinato prima nella monumentale lentezza di “Fall” e poi, quasi in un moto discendente, nell'asfittica inquietudine di “Kingdom”, con tanto di echi spettrali ad accompagnarne l'intera durata. La lenta nostalgia che ammanta “Only Child” lascia il posto all'estroversa “Intent”, nella quale compare, quasi di sottecchi, l'accompagnamento della drum machine.
“Salute”, ultimo crescendo tra ambient e classica, lascia a “Nina And Oscar” il compito di calare il sipario in un rassicurante stato tra sogno e realtà.
24/03/2013