E’ già con “After Dark My Sweet” (2006) che i Julie’s Haircut iniziano a mettere da parte il power pop degli esordi per dedicarsi alle sperimentazioni psichedeliche. Questo germe è poi subitaneamente divenuto adulto con il doppio “Our Secret Ceremony”, una significativa addizione all’esiguo rock lisergico italiano. Dopo l’interlocutorio Ep “Wildlife Variations”, il gruppo torna all’opera maggiore con “Ashram Equinox”.
L’iniziale “Ashram” è una delle loro creazioni migliori in questo percorso. Dopo una libera toccata per pianoforte, il gruppo si lancia in una versione lounge-spaziale di “In a Silent Way” di Miles Davis, dove i fiati appaiono e scompaiono come miraggi e si fondono con folate elettroniche. La cosa si evolve in una trance, sincopata ma danzante, certamente memore dei Can. In confronto, “Tarazed” sembra già una sua imitazione, con piani elettrici e cori d’oltretomba e addizioni progressive. Ancora riferimenti ai Can emergono in “Taarma”, tanto che sembra di udire un remix senza Damo Suzuki della loro “Mushroom”, di nuovo con galleria di strati elettronici.
La ricetta tende anzi a essere sfruttata fino in fondo. Se numeri come il dub elettronico di “Johin” sembrano semplici pattern continui usati come pretesto per passerelle di figure di tastiere fantasma e trilli allucinogeni, la trance techno su tempo tribaloide di “Taotie” - con chitarra cosmica a contrappuntare mestamente - aspira a suonare come un Klaus Schulze degli anni 80 (o una sua riduzione).
“Equinox” è la pausa meditativa del caso, un “om” spaziale dai fraseggi psichedelici senza ritmo, ma l’ostinato mantrico di “Han”, tutto nebulose di rhodes e lente oscillazioni siderali, vi aggiunge anche un certo genio melodico.
Premiato dalla critica e dal pubblico più intransigente, questo rifacimento in chiave naif della musica teutonica dà finalmente al gruppo emiliano il giusto carisma internazionale. Possiede, a dispetto dell’uniforme spettro stilistico, vitalità e atmosfera, ritmo - le tracce sfumano una nell’altra a mo’ di suite -, volontà di ferro nell’esplorazione di armonie difficili. E’ un affare (relativamente) più tranquillo e calcolato del predecessore, tanto che rinuncia totalmente alle liriche cantate, ma probabilmente destinato a diventare un culto del rock italiano recente. Preceduto da uno split con i Cut (“Downtown Love Tragedies”; Gammapop, 2013).
12/10/2013