Due anni fa i Ladytron licenziarono “Gravity The Seducer”, un autentico scrigno di pure gemme dalla veste sintetica che aveva rappresentato pure l'evoluzione ultima del loro synth-pop dal citazionismo vintage degli esordi a una dimensione personalissima. Da allora, nulla ci è stato dato a sapere sul quartetto, se non che le due anime femminili hanno dato il via ad alcune escursioni soliste: Mira Aroyo, giusto pochi mesi dopo l'album, assistendo John Foxx sul suo “Interplay” - sua la voce nello strazio artificiale di “Watching A Building On Fire” - e la frontwoman Helen Marnie gettandosi sulla lavorazione di un intero album.
Quest'ultimo prende forma dopo una gestazione lunga quasi due anni e diviene “Crystal World”, uscito a giugno di quest'anno ma passato perlopiù - anche a causa di una promozione che definire nulla è eufemistico – ingiustamente inosservato. È un lavoro dallo spirito marcatamente crepuscolare, incredibilmente adatto alla gioia di un pomeriggio estivo tanto quanto alla malinconia di un inverno ormai alle porte.
Dieci brani pervasi quasi in toto da una magia sublime, sulla quale c'è da scommettere abbia influito la decisione di registrare in Islanda sotto l'occhio vigile di Barði Jóhannsson e con la decisiva assistenza di Daniel Hunt, altro quarto dei Ladytron. Musicalmente la formula si discosta relativamente poco da quella proposta negli ultimi episodi della band, non fosse per gli echi folk di qualche brano e la natura complessivamente più cantautorale, con il retroterra elettronico spostato quasi interamente sul fondale e mai a battagliare con la voce.
La differenza la fanno, ancora una volta, le canzoni: “The Hunter” - agrodolce powerballad che apre le danze (e sino ad ora unico singolo estratto) e che potrebbe essere stato strappato ai Metric più sintetici - “Hearts On Fire”, con il suo appiccicosissimo ritornello, ma anche la più incalzante “The Wind Breezes On” sono pop song di qualità sopraffina, che spartiscono con la più scoppiettante “We Are The Sea” e con la leggiadra “Violet Affair” una prima metà decisamente più luminosa e spensierata.
Ma gli apici del disco vanno cercati soprattutto nel suo ipotetico “dark side”, sito nella seconda parte: la malinconica e dimessa “Laura”, la conclusiva e paradisiaca “Gold”, ma soprattutto l'ipnotico e disarmante mantra di “Sugarland” e la splendida mini-suite “Submariner”, con il suo crescendo di gorgogli elettronici, sono vette emotive prima ancora che tecniche in grado di tenere tranquillamente testa agli episodi migliori di “Gravity The Seducer”.
Convincente, compatto, compiuto: questo è “Crystal World”, in tre parole, una collezione di ottime canzoni, fra cui un paio di piccoli capolavori. Seppur non in grado di battagliare per equilibrio e peculiarità con l'ultimo exploit dei Ladytron, la prima prova solista di Marnie conferma la sua figura (e indirettamente, per sonorità, quella della band) sul trono del pop sintetico odierno.
Perché per quanti ottimi nomi si siano affacciati sulla piazza in questi anni (dagli Adult. sul versante più dark ai secondi Goldfrapp su quello più estroso, passando per le incarnazioni indie dei vari Is Tropical, Caged Animal e Delphic e volendo escludere i vari alfieri del revival wave) nessuno ha ancora davvero dimostrato di poter spodestare il quartetto da una posizione ormai assodata. Che quest'escursione solista della frontwoman non può che consolidare ulteriormente.
12/09/2013