Dare un seguito, proseguire un inizio ben impostato, è sempre stato il cruccio di ogni musicista, a prescindere dall’era e dal genere di riferimento. Ogni qualvolta un oggetto di successo attende un seguito, le speranze si rivolgono sempre al futuro, a cosa verrà, quale magia ci riserverà quel tal artista. Questo concetto è perfettamente applicabile a “II”, seconda prova del sodalizio artistico fra Sascha Ring aka Apparat e il duo Modeselektor. Il primo album era stato preceduto da una discreta curiosità, tali erano le potenzialità teoriche di un tale accordo, dando una veloce scorsa alle prestigiose carriere delle menti in gioco. E infatti “Moderat” si rivelò uno splendido esempio di modernariato elettronico sinuoso, seducente, con “Rusty Nails” a ergersi a capolavoro su tutte le altre tracce dalla qualità media altissima. Fatte tali premesse, la parola “attesa” nei confronti di “II”, seppur banale e scontata, è quantomeno dovuta.
Pubblicato in piena estate e anticipato dal singolo “Bad Kingdom” un paio di settimane prima, il disco non delude e rimpolpa il progetto di nuovi stimoli. Nonostante il suono di riferimento sia quello solito, un misto fra techno teutonica e suoni Uk (garage, 2 step), l’album vaga mirabilmente fra atmosfere, umori e sensazioni, travalicando gli steccati di genere. Le canzoni possiedono un suono totale, potente e preciso, graffiano nel profondo e sostengono la durata sopra i cinque minuti grazie a ritmi e melodie scintillanti. La voce di Apparat - sue le liriche di ogni pezzo cantato - è il definitivo marchio di fabbrica di un progetto che questa volta rinuncia alle collaborazioni esterne e si autoalimenta con le proprie forze. Anima tedesca, attenti alle tendenze ma non calligrafici, Apparat e soci compiono un'ulteriore rivisitazione del loro immaginario di suono elettronico, tecnologicamente avanzato ma malinconicamente nostalgico, mai stucchevole e perennemente perfettibile.
Se “Bad Kingdom” ricalca l’epicità pop della corrispondente “Rusty Nails”, l’introduzione dei breakbeat 90 dona ai pezzi un fascino crepuscolare (la rilassatezza quasi chill-out di “Version”, i bei controtempi in “Ilona”), mentre la classicità techno lascia libero spazio alle straordinarie capacità di beat-maker di Apparat (la voragine e i contraccolpi ritmici di “Milk” e “Therapy”). Le movenze a metà fra downtempo e techno-pop dei pezzi cantati coniugano l’eleganza di ere e stili diversi, cercando un ideale incontro fra gruppi come Télépopmusik e Telefon Tel Aviv, raggiungendo vette altissime (lo splendore di “Let In The Light”, soul digitalizzato per “Gita”), lasciando per strada canzoni sincere e passionali, intrise di malinconia e mistero, mostrando un’anima profondamente romantica (la struggente “Damage Done”). E la conclusione “This Time”, abisso di silenzio e tappeti di synth affilatissimi, è la perfetta chiusura di un cerchio a cui è impossibile rimanere indifferenti. Scocca l’ultima scintilla e l’album termina, si siede e riparte da capo.
Difficile dire qualcosa di più significativo di fronte a una bellezza così gentile e ben architettata, perfettamente nobilitata dalla presenza di qualche piccolo difetto di forma e contenuto. Mesi di lavoro e una gestazione lunga quasi tre anni hanno portato il trio a un risultato intenso, un disco che prosegue e ben completa il bell’esordio, sicuramente una delle migliori uscite elettroniche del 2013. E anche adesso, l’attesa, seppur banale e scontata, di ascoltare nuovi sviluppi è fortissima.
29/08/2013