In mezzo alla solita fioritura di disturbi elettronico-rumoristi, prendono consistenza sillabazioni oscure, battiti robotici su cui aleggia il fantasma di Edison (“Feuksley Ma'am, The Hearing” campiona la sua “versione” di “Mary Had A Little Lamb”), strambe declinazioni di una malinconia atavica (“Musicians Are Scum”) e lame di synth che squarciano penombre minacciose (“Another One (Oh Maybellene)”). A questo punto, la danza moderna non può fare a meno di mostrarsi in piena luce per quello che è e per quello che, in fondo, è sempre stata: la trasfigurazione di un cabaret assurdista, come suggeriscono, senza troppe astrazioni, gli oltre sette minuti in modalità ipnotico-androide di “Mandy”.
“Lady From Shanghai” fotografa una band ancora desiderosa di dire la sua, ma non riesce ad andare oltre una dignitosa affermazione di questo desiderio. Pertanto, questi cinquanta minuti scorrono in maniera piacevole, tra dissertazioni scontate, l’immancabile Capitano Cuordibue che fa una visita di cortesia regalando trote (“Lampshade Man”) e misteriose odissee spaziali (“And Then Nothing Happened”). E, mentre la tracklist va consumandosi, la percepisci la Bestia in affanno, la Bestia che abitava il sottosuolo di una delle più grandi band di sempre. E la riconosci, chiara e nitida, nella sua incapacità di azzannare e di scuoiarci vivi, tanto che anche i rumorismi in libertà di “The Carpenter Sun” fanno appena il solletico.
(14/01/2013)