Abel Tesfaye è partito come tanti, con la valigia a forma di hard disk zeppa di mixtape pronti da postare sul tubo e via a incrociare dita e qualcos’altro. Il gioco per lui comincia tre anni fa, quando appena ventenne piazza in rete le varie “What You Need", "Loft Music" e "The Morning”. Poche settimane e un tripudio di click e condivisioni come nel più classico dei copioni gli cambia praticamente la vita.
Il suo è un mix di sample rubati al panorama indie (vedi “Gila” dei Beach House in “Loft Music”) e inseriti in un contesto electro-r’n’b mai invadente sotto il profilo ritmico, ben coalizzato da giochini al laptop appena abbozzati e schiamazzi elettronici da contraltare a un tessuto propriamente soul. A testimoniare questa sua intrigante commistione d'intenti i tre splendidi Ep lanciati nel corso del tempo: “House Of Balloons”, “Thursday” e “Echoes Of Silence”, di seguito raccolti nel definitivo “Trilogy”.
Giunto dunque al suo album d’esordio sotto i migliori auspici, il giovane canadese di origini etiopi prova saggiamente a oltrepassare il muro del cameratismo indie nella sua odierna accezione electro-soul. “Kiss Land” viene così prodotto con arguta meticolosità. I suoi suoni mostrano una nuova direzione. Se da un lato l’eccellente predisposizione ai controlli pare aver trovato il giusto equilibrio mediante una patina elettronica oscura e densa, dall’altro lato l’eccessiva rincorsa alla melodia da conficcare in testa a ogni costo finisce spesso con l’esaurirsi nel più cieco e bieco dei saccheggi travestisti da celere estratto.
Così, in “Adaption” l’indimenticabile “Bring On The Night” dei Police è palesemente dilatata in un riverbero di battiti r’n’b, mentre in “Belong To The World” l’intera sezione ritmica è letteralmente stracciata da “Machine Gun” dei Portishead. Insomma, il confine tra plagio e campionamento a tratti pare aver smarrito la propria sacrosanta labilità.
Tuttavia, non mancano momenti in cui il giovane Abel maggiormente su stesso, mostrando finalmente le proprie qualità, come accade nell’introduttiva “Professional”, divisa com’è in due atti, tra una morbida ed eterea alzata di sipario e un immacolato cambio di ritmo posto al terzo minuto con l’intento di spiazzare, nonostante l'ennesimo prestito ("Professional Loving" di Emika) sia ancora una volta dietro l'angolo. Stesso dicasi di “Love In The Sky”, elevata abilmente al cielo mediante un tastierone grasso all’occorrenza con rimandi eighties e una mal celata paura del mondo a spingere l’ugola calda e per certi versi ancora acerba.
In realtà, a scuotere il giovane musicista canadese è un imprecisato terrore per gli spazi ignoti, come da lui stesso dichiarato più volte. Una recondita paura dell’oscurità occupa i testi e la mente di Abel. Registi come John Carpenter, David Cronenberg e Ridley Scott ne alimentano la fantasia. L’umore è di conseguenza nero e per certi versi "caotico". L’utilizzo ottenebrante del synth segnala atmosfere in generale cupe e vibranti. Malgrado ciò, le cose funzionano comunque a singhiozzo, tra una melodia fin troppo spenta (“Tears In The Rain”) e un’impalpabile corsa in salsa electro (“Wanderlust”).
In conclusione, il ragazzo dalle tante belle promesse e speranze ha saputo solo in parte lucidare e perfezionare quel suo personale mondo musicale fatto di estratti appena intuibili, stravolti fino a poco tempo fa alla stregua di un Jamie Woon d'oltreoceano magicamente travestito da hipster. A conti fatti, non ci resta quindi che aspettare la prossima mossa di Abel. D’altronde, la tenera età suggerisce anche questo. E non potrebbe essere altrimenti.
(11/10/2013)