La statunitense Xenia Rubinos, di origini cubane, debutta con “Magick Trix”, fregiandosi di voce duttile e arrangiamenti fluidi, talvolta imprevedibili, purtroppo pure imitativi di Tune-Yards, Dirty Projectors, St Vincent (cioè un po’ tutto il pop retronuevo degli ultimi anni).
Forse un po’ ridondante e ripetitivo, il disco annovera numeri come “Ultima”, loop di voci sussurrate che fanno da ritmo (incamerando la lezione di “Un Dia” di Juana Molina), poi cantilena rap in stile M.I.A., con sovratoni ovviamente sudamericani e da vaudeville, e “Los Mangopaunos”, con mellotron che imita un flauto, che ne è un po’ la versione da spot pubblicitario di seconda mano.
Meglio “Help”, con ritmo sincopato batucada e fanfara di tastiere e la voce in mezzo, in stile simil-virtuosa da acid-jazz, e “Whirlwind”, altro loop, stavolta “concreto” di cigolii, con ritmo impossibile e incontenibile, su cui si sviluppa un concerto di voci campionate e improvvisate (in ultima analisi, sono due sintetici minuti di creativo duetto voce-batteria).
In “Hair Receding” la voce della cantante è invece dimessa, ad alzarsi appena in crescendo nel bel mezzo di una caciara in repeat di batteria e tastiera, e “Cherry Tree” è persino una ballata r’n’b, anche se resa con spiritosaggini di siparietti strumentali e virtuosismi vocali (a volte eccessivi per la sostanza che ne risulta).
Come per “Whirlwind”, anche “Pan y Cafe” è brevissima (stavolta è hardcore Captain Beefheart-iano con canto quasi colloquiale ma pure schizoide). I veri gioielli del disco durano nemmeno due minuti. “I Like Being Alone” è una festa reggaeton che getta la maschera e si dà a una piena e convenzionale ballabilità (e cantabilità); un’altra delle più brevi e più ficcanti, anche se priva di un vero scopo. In fondo al disco sta “Let’s Go Out”, insolitamente lineare, dilatata e sonnolenta, un esperimento poco riuscito e fuori contesto, uno dei riempitivi dell’opera.
Senza un grande senso della scrittura, e senza una forte polpa musicale, la Rubinos scolpisce con tempra mascolina brani (per una volta si può dire: sono troppo lunghi) spostati sul versante del rave-up più che su quello dell’intelletto femminista. Quando va a segno ha dalla sua un’essenzialità pregnante e divertente. Tour de force di un giovane batterista italiano, anche co-scrittore (“Cherry Tree”), Marco Buccelli. Due traditional: “Aurora De Mayo” e “Cafe con Leche”. Distribuzione italiana di Trovarobato.
16/04/2013