Craig Fortman, nella sua ormai lunga carriera di musicista (North Sea Radio Orchestra, The Shrubbies, Lake Of Puppies), si è distinto per uno stile chitarristico molto personale, che amalgama arpeggi di stampo classicheggiante, medievale ed etnico a frammenti di quella evoluzione folk-blues, che Nick Drake trasformò in nuovo canone della musica tradizionale inglese. Concepito come un progetto solista, Arch Garrison è una denominazione che raccoglie contributi anche di altri musicisti (Sharron Fortnam al basso e James Larcombe alle tastiere nel primo album “King Of The Down” ); una formazione collaterale dove mettere a frutto l’esperienza con il gruppo di musica contemporanea, la North Sea Radio Orchestra, e la sua amicizia coi Cardiacs, concentrando l’attenzione sulla tradizione folk e sul mito poetico e letterario della vecchia Albione, gettando un ponte tra il folk pre-war e l’era moderna, senza contaminare l’essenza della sua ricerca antropologica e culturale.
“I Will Be A Pilgrim” non è un progetto semplice da approcciare e amare, anche se l’eccelsa tecnica del musicista offre più di una suggestione anche al neofita del genere. La chitarra a corde di nylon, nelle mani di Craig, è uno strumento di rara bellezza, in sonorità senza tempo che si intrecciano con suoni di sintetizzatori mono e un vecchio organo Philips (Philicorda): i confini musicali vengono annullati gettando uno sguardo ad altre culture popolari come quella del Mali e dell’intera Africa, evocando spesso il suono cristallino di Toumani Diabaté o Ali Farka Touré, ma anche la tradizione della musica popolare spagnola (la folía de España).
Non è però il solito album di folk music dai mille risvolti musicali e tecnici. Gli Arch Garrison sottolineano con una forza inattesa una rivoluzione dei canoni del folk-revival, c’è la volontà ben precisa di strappare ogni legame con la scena indie e il suo atteggiamento da borghesotti invaghiti di un passato, oltre che da quel patriottismo non più genuino ma classista che sta contaminando tutta l’Europa.
Come la Incredible String Band, i due musicisti (alfine il nome Arch Garrison in questo secondo album sottintende Craig Fortman e James Larcombe) rimettono in gioco il fascino della tradizione con una contaminazione che tiene ben presente le evoluzioni della cultura pagana contemporanea, come la Memory Band nel tragitto nei luoghi della memoria di “On Our Chalk…”, o il geniale Sam Lee di ”Ground Of Its Own” e la visionaria Mary Hampton. La band non vuole fuggire verso la campagna e la solitudine, ma desidera ardentemente ripristinare nella Londra moderna quella fierezza popolare che nasce da un'analisi culturale più profonda e sincera.
Come i corrieri cosmici rivoluzionarono la musica elettronica, così il duo reinventa il folk, e il canto quasi sgraziato di “Where The Green Lane Runs” è come un avviso messo in cappello all’album per allontanare gli hipster curiosi. Ed è in questo modo che, partendo da delicati arpeggi lirici (“The Oldest Road”), li si può sentir approcciare verso lidi più evanescenti e meditativi che mutano in una nenia malinconica e struggente alla Robert Wyatt, e quando “Everything All” scivola nel pop, è solo per dimostrare che quello che gli altri esibiscono come arte sublime qui non è altro che un banale divertissement.
“Vamp 1” e “Vamp 2”, nel loro indugiare in atmosfere esotiche e nord-africane sono la dichiarazione più importante di modernità del linguaggio folk del duo: le barriere sono definitivamente sconfitte dalla bellezza e dall’universalità del linguaggio musicale, Craig mette insieme lirismo e tecnica con una forza quasi inedita.
Piccole variabili, come l’intro di synth di ”Bubble” e l’accordo in chiave leggermente blues di “Six Feet Under Yeah”, oltrepassano qualsiasi stilema e rimettono in piedi il valore della musica e il mistero che spesso aleggia dietro quell’accordo in minore dal tono riflessivo e quasi innocuo e remissivo, ma che riafferma il valore dell’uomo e dell’altro. Non a caso uno dei brani più intensi e suggestivi è proprio “Other People”, dove Craig invita ognuno di noi a prendere coscienza della propria energia per evitare che essa si perda nel fluire della banalità.
“I Will Be A Pilgrim” mette insieme alcune delle intuizioni più felici del folk inglese, quelle che hanno dato linfa vitale a musicisti come Nick Drake, Donovan, Bert Jansch, ma anche ai visionari come Robyn Hitchcock e Robert Wyatt, recuperando anche frammenti del Canterbury sound (si ascolti proprio la sequenza che va dalla title track a “Sweet Tomorrow”) e regalandoci un capitolo prezioso della nuova tradizione britannica.
10/06/2014