Nel nutrito scenario della musica sperimentale figurano, tra gli altri, veri e propri artisti del suono: Mika Vainio è di certo tra i più infaticabili nell'esplorare nuove soluzioni espressive, molto spesso a stretto contatto con l'arte contemporanea; specialmente in tempi più recenti il talento finlandese ha intersecato la sua ricerca con quella di numerosi collaboratori. La più recente – ma solo in termini di missaggio e pubblicazione – vede protagonista il violoncellista belga Arne Deforce, amante delle sfide impossibili in ambito contemporaneo, dall'alea cageiana alle vertiginose partiture di Ferneyhough e Xenakis.
Registrato nel dicembre del 2011, “Hephaestus” è un viaggio immaginario e silenzioso tra i fiumi dei cerchi infernali, dove Deforce mantiene un profilo più basso del solito per assecondare un'atmosfera cupa ed evocativa. Il suo tocco talvolta marcato, talaltra del tutto evanescente, si inscrive nel solco della virtuosa Frances-Marie Uitti, anch'essa non nuova al confronto con gli stilemi della dark-ambient.
La discesa agli inferi comincia con “Phlegethon”, dove a dominare sono i glissando allucinogeni di Deforce – degni del compianto Romitelli di “Professor Bad Trip” – almeno sino all'ingresso di prepotenti bassi in puro stile Pan Sonic, che disperdendo una fitta coltre noise finiscono col fagocitare il violoncello in un vigoroso ruggito. E sempre a proposito di inferno, il soffocante respiro di “Cocytus”, in punta di corde, riporta alla memoria dei sensi gli spaventosi miasmi dell'opera-monstre di Dirty Knobs.
Un refrain ossessivo, oscillante tra corde basse e alte, è invece deputato alla descrizione del fiume Lete le cui sponde accolgono – stando agli scritti di Platone e Dante – un'acqua che provoca il completo oblio. Il frammento intermedio “Acheron” si assottiglia in un fantasma di armonici che vanno avviluppandosi e tornano a manifestarsi nelle profonde ruvidezze di “Styx”, ove le manipolazioni di Vainio si fanno decisamente più abrasive. Il limite estremo dell'opera è il ritorno alla quiete di un limbo instabile (“Fields Of Relief”) e forse un po' prematuro.
Per quanto concerne lo sviluppo di una dimensione sonora dalle tinte particolarmente sinistre, l'esperimento di “Hephaestus” si può decretare del tutto riuscito: gli interventi di Vainio amplificano l'azione di Deforce senza snaturarla, benché da principio si fosse lasciato spazio a manovre maggiormente invasive e nondimeno impattanti. La particolarità sta dunque nell'essere un'opera che, in più frangenti, decide scientemente di non osare, di fermarsi sull'orlo di un dirupo scurissimo e di immortalare l'orrore a debita distanza. Gli elementi in gioco, comunque, avrebbero permesso di sondarlo con tutt'altra audacia (e un margine temporale leggermente più esteso).
17/06/2014