Tuttavia, pur essendo quello un disco al di sopra della media, a nostro avviso è con “A Turn Of Breath” dell’anno scorso che l’artista canadese raggiunse un equilibrio ragguardevole tra manipolazione vocale e straniamento digitale, conducendo l’ascoltatore in peripezie abissali tra silenzio ed echi ancestrali, al limitare del senso, lì dove solo l’estasi-in-ascolto può rendere conto di visioni istantanee (“On The Reach Of Explanations”), di equilibri fragilissimi per rapimenti liturgici e fanghiglia glitch (“Second Lens”, “TEAC Poem”) o, ancora, di vibranti preghiere scagliate contro il “limite” (“The Edges”).
Lo spazio mentale in cui agisce Craig nasce dalla sintesi tra i “dormiveglia” di Arthur Russell, i “disintegration loops” di William Basinski e le rarefazioni aurorali di Fursaxa. Un gioco di specchi e di stratificazioni che danno vita, in “Red Gate With Starling” e in “New Brighton Park, July 2013”, a una musica sacra delle sfere celesti, palpitante e caliginosa, come la luce inaccessibile evocata dai mistici del medioevo.
Quando, invece, la voce insegue melodie e significati “terreni”, ecco il folk intimista e diffratto di “Rooms” e "A Forgetting Place" o la dolente liturgia delle due parti di “A Slight Grip, A Gentle Hold”, circondata dal brusio di queruli fantasmi. Il corale di “Either Or” fa pensare, invece, al continuo ondeggiare del mare: misterioso ed ipnotico, come tutto “A Turn Of Breath”, del resto.
(26/12/2015)