Da qualche anno, l'insaziabile e instancabile Jóhann Jóhannsson ha trovato nelle colonne sonore un nuovo veicolo attraverso cui sfogare la sua creatività. Come di consueto nella sua carriera, ciò che sorprende è la naturalezza con cui il guru islandese è riuscito a reinventarsi compositore d'eccellenza, facendosi così conoscere da un pubblico tutto nuovo che probabilmente ignora la gran parte dei suoi infiniti trascorsi.
E se l'anno scorso la soundtrack offerta a “Prisoners” aveva messo in luce la sua straordinaria capacità nel musicare la tensione, il dramma e il mistero, il suo nuovo traguardo nel mondo del cinema coincide con l'attesissima biografia romanzata (firmata James Marsh e accolta con clamore al Toronto Film Festival) di Stephen Hawking, forse il più celebre astrofisico dei nostri tempi.
La scelta del guru di Reykjavík è quella di concentrarsi su spazi e tempi, resi in maniera efficacissima da una miscela brillante, vivace e decisamente distante dall'oppressione delle esperienze precedenti. L'orchestra ricopre qui un ruolo di primo piano e con essa il lavoro del sempre impeccabile Anthony Weeden, in grado di dare linfa corale alle ventisette miniature che compongono la scacchiera.
Jóhannsson stavolta tiene unita la tradizione del minimalismo cinematografico alla grandeur contemporanea dei vari Hans Zimmer e Danny Elfmann: ma a spiccare, nella sua formula, è una tavolozza incredibilmente ricca di tonalità, in grado di donare colore e sfumatura ad ogni singola sequenza. Una maestria dovuta in gran parte all'eterogeneità della sua esperienza artistica, che qui si fa sentire come mai in precedenza.
L'esplosiva ouverture di “Cambridge, 1963” riesce a colpire immediatamente al cuore, introducendo senza tramiti il magnifico tema portante. Quest'ultimo è presentato dapprima nella deliziosa “Domestic Pressures”, e ribadito poi per tutta la durata del "viaggio" con un tenore sempre diverso: riflessivo e introspettivo in “A Game Of Croquet”, solenne quanto remissivo nel dispiegamento d'archi di “A Normal Family”, magico e fiabesco in “Camping”, a un passo dal dramma in “Daisy, Daisy...”, infine dimesso e quasi sussurrato nella chiusura di “Epilogue”. A ripetersi sono anche la fiammata in due tempi di “Rowing” e il tema per pianoforte della title track e di “Forces Of Attraction”, probabilmente l'apice assoluto dell'intera colonna sonora.
La struttura-soundtrack tradizionale è qui assunta a pieno regime, e così non mancano una serie di corollari necessari in primis a legare fra di loro i momenti cardine. In gran parte di questi ultimi a dominare è il pianoforte, voce principale in una serie di affreschi tutti ugualmente indipendenti dalle immagini della pellicola e tutti ugualmente splendidi. Dall'interludio à-la-Yann Tiersen di “The Dreams That Stuff Is Made Of” alla maestosa “A Brief History Of Time”, passando per la sonata Mertensiana di “A Model Of The Universe” e il trionfo funereo di “London, 1988”: il tutto per arrivare, in coda, alla serenità dell'arpa di “The Whirling Ways Of Stars That Pass”. Una ciliegina, semplice e deliziosa, su uno dei dischi dell'anno 2014, commento musicale a uno dei probabili film dell'anno 2015 - in attesa del possibile (e, nel caso, meritatissimo) Golden Globe.
17/12/2014