E’ felice, molto felice Pharrell Williams. Come dargli torto, nessuno sino a un anno fa avrebbe scommesso sulla capacità del produttore black più influente ed estroso dei primi anni 2000 di tornare così prepotentemente in auge dopo quasi un lustro durante il quale la prestigiosa griffe Neptunes continuava sì a essere sinonimo di qualità (non più abbagliante certo, tuttavia una “Sweet Life” come quella di Frank Ocean non è alla portata di tutti), ma non faceva più rima con hit-single come un tempo e riceveva le telefonate di popstar che si non chiamavano più Gwen Stefani o Madonna ma Gloria Estefan e Mika.
E invece Pharrell, un po’ a sopresa, si è ritrovato a essere l’uomo chiave dietro i due più grandi successi, commerciali e non, dello scorso anno, quelle “Get Lucky” e “Blurred Lines” che nonostante le svariate accuse di ruffianeria, plagio e faciloneria hanno fatto ballare davvero tutti, critic(on)i compresi.
Ancor più inaspettatamente continua a far ballare il mondo intero anche il suo primo singolo solista da otto anni a questa parte, quella contagiosa “Happy” (sciocchina e leziosa quanto si vuole, ma pur sempre concepita per accompagnare un cartoon) che, apparsa sulla colonna sonora di “Cattivissimo Me 2” quasi un anno fa, è diventata un insolito tormentone doo-wop in questi primi mesi del 2014. La seconda giovinezza del produttore della Virginia sembra destinata a durare ancora insomma, e stavolta senza l’aiuto del suo fidato (e ormai sempre più defilato) collega Chad Hugo e la loro creatura d’assalto live, i N*E*R*D.
Ed eccolo quindi, a suggello di questo nuovo periodo d’oro, l’inevitabile secondo album a suo nome, chiamato a far dimenticare la prima prova solista del 2006, quel “In My Mind” realizzato nel bel mezzo del suo periodo più prolifico e redditizio e che finì col deludere tutti per via di quell’aria raffazzonata, da raccolta di outtake avanzati dalle tante joint-venture produttive.
Pericolo senz’altro scampato stavolta, perché “G I R L” fa tutto il possibile per suonare come l’album di un onesto cantante r’n’b dal limpido falsetto e non come quello di un potente e vanesio produttore che vuole mettere in mostra tutte le sue capacità in cabina di regia per stupire l’ascoltatore. E lo fa a costo di diventare solo un dischetto piacevole, coeso e poco più. L’ennesimo caso di una montagna che partorisce un topolino? Sicuramente, così com’è altrettanto chiaro che questa conseguenza fosse, appunto, voluta.
Evitato come la peste qualsiasi effetto speciale (eccezion fatta per una parata di ospiti che da sola farebbe la fortuna di un’edizione degli Mtv Video Music Awards) Williams punta tutto, com’era prevedibile, su una rivisitazione fine anni 70 che già aveva ben sviscerato una decade or sono, tra chitarrine funky, archi sintetici, bassi groovosi e battiti disco/tribali. Sono questi gli elementi che costituiscono l’ossatura di pezzi come “Marilyn Monroe” o “Gush”, ma stavolta l’intento, più che scimmiottare simpaticamente Chic e Marvin Gaye, sembra voler esser quello di conquistare tutti coloro che hanno trovato troppo raffinata e farraginosa la recente svolta di Justin Timberlake, rimpiangendone il debutto “Justified”.
Proprio l’ex-N*Sync torna a duettare col suo primo mentore in “Brand New”, tasso Jackson 5 alle stelle, il rivale/amico Timbaland al beatboxing ma pezzo che, ahimè, non graffia come dovrebbe. Hanno unghie decisamente più affilate la funkeggiante e asciutta “Hunter” e una “Come Get It Bae” che, in compagnia dell’ex-stellina Disney e ormai star trasgressiva Miley Cyrus, aggiunge ruspanti umori sudisti alla consolidata formula. Più accademico e meno fondamentale l’apporto di Alicia Keys nella comunque morbida e avvolgente “Know Who You Are” così come quello dei recenti compagni d’avventura Daft Punk in una “Gust Of Wind” che, orfana della guida di Nile Rodgers, non riesce a ripetere il tiro dance di “Lose Yourself To Dance”, pur intrattenendo con gusto.
E’ contento Pharrell Williams, si sente. Dategli un contorno di belle donne, un paio di bermuda e una platea (possibilmente di vip) da far ballare e sarà subito soddisfatto. Ancora una volta, al momento di mettere la sua sempre giovane faccia in primo piano, preferisce ricordarci di essere sempre il solito nerd innamorato di Star Trek e dei padri soul e non quell’impeccabile Re Mida capace di strapazzare intelligentemente la black music e render interessante chiunque scelga di produrre. L’eterno ragazzo, anche stavolta, vuole solo continuare a divertirsi. Diamogli torto…
05/03/2014