C'è chi si lascia alle spalle il proprio passato per vergogna o per opportunismo, e chi lo fa per crescere e raggiungere mete del tutto nuove. Un ventennio abbondante separa gli Ulver dai tempi in cui non suonava fuori luogo chiamarli “lupi”: prima della destabilizzante svolta sperimentale che li portò verso lidi elettronici mai sondati prima (oseremmo dire da chiunque), la band di Kristoffer Rygg fu per breve tempo la massima espressione del connubio tra le principali tendenze della musica norvegese di allora, il black-metal e il dark-folk strumentale; due matrici complementari profondamente radicate nella cultura underground scandinava degli anni 90, già marchiata a fuoco da gruppi come Darkthrone, Burzum, Mayhem e Emperor.
Il quinquennio dal 1993 al 1997 vede dunque la genesi di un'esperienza irripetibile non soltanto nella carriera degli Ulver: quella a cui si fa riferimento come la trilogia (“Three Journeyes Through The Norwegian Netherworlde”, già raccolta nel '97 in edizione limitata) è la quintessenza di una ricerca nella musica e nello spirito delle terre nordiche che non ha mai trovato eguali. La tanto attesa ristampa, assieme a un accurato remaster integrale, trovano il loro compimento in “Trolsk Sortmetall”, sontuoso box rilegato in tela che si pone come la raccolta definitiva per questa leggenda underground.
L'acerbo esordio semi-ufficiale “Vargnatt” rispecchia un sound e una poetica ancora in piena gestazione, incredibilmente lontane dalla sintesi raggiunta due anni dopo nel loro primo gioiello. Una demo che spesso approccia in modo incerto il modello black – del quale i primi Ulver, evidentemente, non avevano che un minimo controllo – tra voci in falsetto ingenue (quando non involontariamente comiche) e progressioni quasi più vicine ai Black Sabbath che agli illustri connazionali; i Nostri fanno altresì sfoggio dell'affezione verso la cultura popolare norvegese, tanto nei testi quanto negli arpeggi della musica (“Trollskogen”), elementi che elaboreranno in seguito nel seminale “Kveldssanger”.
Più di altri era invece “Bergtatt” a implorare un accurato remissaggio che, per quanto possibile, ne mettesse in prospettiva le tracce, accalcate nella “bidimensionalità” di un layer sonoro quasi indistinto. L'operazione si direbbe piuttosto riuscita: la nuova disposizione degli elementi dà loro un più ampio respiro, che incide non poco nell'esperienza di chi ben conosce il fascino arcano di cotanto classico (l'episodio acustico “IV: Een Stemme locker” vanta qui un nitore cristallino). Il nuovo mastering esalta la potenza immaginifica e il romanticismo – nell'accezione germanica di sturm und drang – di un compendio stilistico inimitabile, dove chitarre acustiche e distorsioni condividono lo stesso immaginario, al contempo minaccioso e lirico. Gli stessi Ulver, nelle profuse note di copertina, lo definivano “a musickall Picture of a different Realitie: A Mythickall Worlde of Phantasie that will not fade, change, or sink into Oblivion”.
La raccolta delle traduzioni dei libretti, inoltre, rivela chiaramente la drammaturgia di questa favola popolare in cinque parti, arricchendone considerevolmente l'effetto in sede d'ascolto: una giovane vergine, perduta nei sentieri di una foresta notturna, s'addormenta su un giaciglio di muschi, piangente e oppressa da sogni inquieti; un sussurro proveniente dal cuore più profondo del bosco la risveglia chiamandola a sé: “Vieni, se Tu vuoi/ Vieni nelle Tenebre/ Il mio Occhio Ti conquisterà/ I miei capelli Ti cingeranno”; sedotta dalla voce, la vergine si unisce alle Tenebre che ne faranno ciò che desiderano" (“The Mountain bade her welcome/ Embraced her harshlie and hard/ Again the worlde was Night/ And She forever lost”).
Gli altri due capitoli della trilogia saranno un approfondimento delle due polarità che in “Bergtatt” avevano trovato la loro perfetta sintesi. Inciso nel 1995 e pubblicato l'anno seguente, “Kveldssanger” (Canti del Crepuscolo) evoca, come per magia, interi secoli di folklore norvegese: per mezzo di cori d'ascendenza gregoriana, chitarre acustiche e un solitario violoncello, gli Ulver si fanno sacerdoti di un druidismo primigenio, totalmente devoti a questa tradizione riesumata e interpretata con profonda sensibilità, come se originasse direttamente dalle rune di un antico santuario. Un'ispirazione dalla purezza incontaminata, senza la quale molte delle attuali espressioni del folk nordico non esisterebbero affatto – la seconda veste degli Empyrium e in parte i finlandesi Tenhi, mentre tra i più recenti accoliti citiamo Vàli e Musk Ox. È l'unico album qui contenuto a ospitare anche una non superflua bonus track (“Synen”, 1996), registrata per la compilation d'impostazione industrial “Souvenirs From Hell”.
Altrettanto integralista, ma in direzione opposta, è la summa black-metal di “Nattens Madrigal” (“Otto Inni al Lupo nell'Uomo”): una ben nota leggenda metropolitana avvolge nel mistero le circostanze della sua registrazione, che sarebbe avvenuta nottetempo nel mezzo di una foresta solitaria con un semplice registratore a 4 tracce; retroscena un po' tendenzioso che sarebbe confermato dalla grana spessa e dalla scarsa definizione del suono, ai limiti del noise. Non stupisca, perciò, che la mano del restauratore abbia lasciato pressoché intatta la ruvidezza di questo flusso violento e inarrestabile, dominato da distorsioni acidissime e da una ritmica diabolica – eccezion fatta per un solo, breve intermezzo acustico nel primo brano. Oltre a ciò è di certo, tra tutti, l'album coi testi più bui ed ermetici, risultanti da una trascrizione in danese arcaico e alimentati da una mitologia di licantropi, creature dagli istinti maligni e primitivi, la Luna il simbolo dell'eterna maledizione delle Tenebre. Così, mentre dalla furia di questi otto tragici inni emerge il legame quasi faustiano dell'essere umano con le creature della notte, le melodie tracciano inconsapevolmente il sentiero di tutte le tendenze del black-metal a venire, sino alle più rilevanti formule dell'odierna corrente cascadian (Wolves In The Throne Room, Woods Of Desolation, Deafheaven) e al radicale concettualismo dei Liturgy.
Da ultimo il quinto disco ci offre per la prima volta una rehearsal tape dall'estate del 1995, contenente le versioni strumentali di quattro brani-chiave di “Nattens Madrigal”, la cui intensità e qualità del suono sono perfettamente in linea col capolavoro a cui vanno incontro.
Assieme ai cd abbiamo l'occasione di sfogliare un archivio fotografico e iconografico più che esaustivo, benché visto oggi esso appaia inevitabilmente tra il serio e il faceto. Ogni dettaglio testuale e documentario è infine stato rivisto, annotato e sottoscritto dagli Ulver stessi, lo scorso luglio 2014, con tanto di ringraziamento a tutti i collaboratori che hanno lavorato a questo importante, decisivo remaster. La loro ammissione: “It's no secret that we have been hesitant. But history is hystory”.
Nulla da eccepire: in casi come questo, il passato non si rinnega. Si celebra.
16/12/2014