Pensa un po’: quest’anno la next big thing della scena indipendente è una ragazza di Melbourne, con un taglio di capelli normale, una faccia acqua e sapone, e tanto sarcasmo rimasticato per lunghi, oziosi pomeriggi. Il suo “Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit” già dal titolo dice tutto dell’estetica che va ora per la maggiore nell’ambito indipendente “di grido”: ribellione passiva-aggressiva (più passiva che aggressiva di questi tempi) espressa in termini musicali col più classico slacker rock, la trasandatezza dei 90 che riverbera lungo tutto il disco.
Ma questo esordio su Lp di Courtney è anche più dell’accattivante piglio sornione, Brownstein-iano dell’iniziale “Elevator Operator”, o dei tanto pubblicizzati rigurgiti grunge del singolo di lancio “Pedestrian At Best” e di “Nobody Cares If You Don’t Go To The Party”: è il refrain sciamanico, di antiche ascendenze Velvet-iane (vedasi anche il bel country di “Depreston”), di “Kim’s Caravan”; è il power-pop da Mtv generation di “Aqua Profunda!” e “Debbie Downer”; è la psichedelia abrasiva e ossessionante di “Small Poppies”; è il distratto ma pregnante flusso di coscienza di “Dead Fox”.
Nonostante l’estetica necessariamente lo-fi del progetto, l’album suona perfettamente, pur non brillando per originalità. Ma anche questo, a ben pensarci, fa parte dell’immaginario creatosi intorno a quest’artista. Un “pacchetto” complessivo ben riuscito, ma il cui valore sembra più legato al suo essere espressione del “qui e ora” musicale, più che alla sua forza intrinseca, o a quella dei suoi pezzi. Il talento c’è, ma per ora si tratta di facili entusiasmi.
25/03/2015