E' opinione comune che le collaborazioni artistiche risultino spesso deludenti. L'incontro tra due musicisti apparentemente diversi come il cagliaritano Fabrizio Casti (che vanta un curriculum accademico di tutto rispetto) e il napoletano Elio Martusciello (il quale è sostanzialmente un autodidatta, cresciuto con il "rock in opposition" e successivamente passato all'elettroacustica digitale, ottenendo consensi a livello internazionale) smentisce fortunatamente questa regola.
In questa occasione, il pianoforte preparato di Casti (il quale, musicalmente, ha un'anima sostanzialmente romantica) si interseca alla perfezione con le sonorità elettroniche di Martusciello, tanto da promuovere "Chamber Rites" come il più alto traguardo artistico finora raggiunto da entrambi. L'ascetica sonata da camera "Repeating Tracks", chiaramente influenzata dai pezzi per pianoforte di Satie, viene regolarmente disturbata dalle trame elettroniche generate dal computer di Martusciello.
Un'altra piece pianistica, "Cognitive Impenetrability", viene sottoposta a dei rumori esterni come i graffi di un vinile e la puntina che vaga a zig-zag su un disco rotto, per poi concludersi con un gran caos totale dovuto alle corde del pianoforte pizzicate direttamente nella cassa armonica, seguendo ovviamente i dettami del maestro Cage. Le trame improvvisate e rumoriste di "Empty Box" e "Known Landscape" rimandano direttamente ai dischi degli Ossatura (coraggioso e innovativo gruppo d'avanguardia romano in cui Martusciello ha apportato un contributo importante ai fini del "design" sonoro), tenendo bene in mente le direttive dei This Heat.
Sonorità puramente astratte permeano "Oblivion", le quali vengono per un attimo stemperate durante una breve strofa cantata da Barbara De Dominicis. Ritroviamo questa stessa vocalist nella title track, con un cantato creativo sulla scia di Jay Clayton, il tutto su un tappeto di borboglii elettronici. "Zenith" è un'altra rarefatta sonata per pianoforte, così come "Knowing Nothing" è un esteso drone armonico con sparute note di piano, reminescenti della "Children On The Hill" di Harold Budd.
Il lungo unisono di "Resonance" chiude egregiamente il disco che, ripetiamo, si dimostra essere un centro perfetto. Avanguardia e sentimento, una tantum, vengono messi d'accordo.
Inoltre, su Die Schachtel è da non lasciarsi sfuggire assolutamente il nuovo 12" a nome del pianista free Giovanni Di Domenico, realizzato in collaborazione con Jim O'Rourke, "Arco". Anche questa è una collaborazione di valore (con Di Domenico in veste non di esecutore, ma solo di autore e di direttore), il cui frutto è un piccolo gioiello di minimalimo mistico e mesmerico per modulazioni armoniche, come raramente è capitato di ascoltare in tempi recenti.
13/10/2015