Se questa fosse una rivista letteraria, la recensione di “I Love You, Honeybear”, secondo album firmato da Josh Tillman con il moniker Father John Misty, sconfinerebbe certamente nell'"articolo di approfondimento".
L’attenzione alle parole del cantautore statunitense, infatti, offre ben più di uno spunto di riflessione: dalle liriche delle canzoni all’apparato che accompagna la pubblicazione del disco (biografia, comunicato stampa, addirittura una guida all’ascolto per ognuno degli undici brani), tutto a firma dello stesso Tillman, i livelli di lettura e interpretazione sono molteplici. Spesso in contraddizione, sempre in bilico sulla linea che distingue la narrativa dalla biografia, comunque sempre al di là degli statuti e delle regole dei due generi letterari, con un occhio strizzato al Metamodernismo e alla nuova sincerità di cui si sta nutrendo lo zeitgeist culturale americano e l’altro ben aperto sulla critica sociale e politica.
C’è tutto e il contrario di tutto nei testi cantati da Father John Misty: misoginia e amore incondizionato per una donna, sottile e intelligente ironia, la supponenza tipica di chi deve difendersi dalla propria insicurezza, persino un’insopportabile lagnanza per l’era pre-tecnologica che si scontra con il punto di vista di una persona che per questioni anagrafiche non può sottrarsi alla definizione di Millennial - frammisti a citazioni di Shakespeare e rimandi alla grande letteratura americana.
Ma qui si parla di musica e le cose non sono meno complicate.
C’è una particolare simmetria nell’approccio all’uso delle parole e quello dei suoni, nell’operato di Tillman – ad esempio, la scelta di diffondere come controparte al sarcastico paratesto di presentazione del disco uno streaming di preascolto in formato Midi, annunciato come nuovo e innovativo formato audio, capace di eliminare le perdite economiche causate dalla possibilità di ascoltare musica di buona qualità gratis e legalmente in rete.
Una simmetria che si trasforma, però, in un chiasmo all’interno dell’album. Là dove i testi si fanno più personali e intimi, arrivano l’esagerazione e la farsa della produzione e degli arrangiamenti (firmati dallo stesso Tillman insieme all’ormai inseparabile Jonathan Wilson) a distrarre dal contenuto delle parole: impossibile, per il cantautore, mettere completamente a nudo i propri sentimenti.
È come se fosse sempre necessaria una barriera per difendersi dalla propria vulnerabilità. E non si può non prendere in considerazione la parte dei testi e delle liriche quando si parla di un autore che, per sua stessa ammissione, vuole raccontare una storia e trasmettere un messaggio con la sua musica – in questo caso, quella dell’incontro con colei che diventerà sua moglie e musa, Emma Garr, e delle possibilità dell’amore vero, che colpisce all’improvviso anche chi non ci crede e non ne aveva mai avuto esperienza.
Ma anche quella tra musicista e ascoltatore è una relazione sentimentale, e, come tale, ha bisogno della massima fiducia e apertura nei confronti dell’altro da parte di entrambi.
Father John Misty questa fiducia non ce la vuole accordare, però. Si ritrae proprio mentre gli si chiede di calare la maschera e mostrarsi per quello che è veramente. Si barrica dietro strati di sarcasmo che, purtroppo, mettono in ombra il suo enorme talento compositivo.
Succede in “Nothing Ever Happens At The Goddamn Thirsty Crow”, in cui un Tillman infastidito dalle attenzioni di una sconosciuta ci racconta che nessuna può superare la sua donna, la quale “blackens pages like a Russian romantic/ gets down more often than a blow up doll”.
Sesso, droga e rock’n’roll, “Mascara, blood, ash and cum/ On the Rorschach sheets where we make love”, come ci racconta nella title track, sono la base della relazione tra il cantautore e sua moglie – la verginità di cui racconta nel brano di punta del disco, “Chateau Lobby #4 (In C For Two Virgins)”, è, infatti, quella sentimentale. Misty ne canta con la sua voce piena, calda e potente, che finalmente ha scelto di utilizzare appieno, in ballad che attingono dal miglior repertorio cantautorale degli anni Sessanta e Settanta – John Lennon solista, Scott Walker, Randy Newman, Harry Nilsson, Dory Previn, come egli stesso racconta.
Tocca il suo apice in “When You’re Smiling And Astride Me” e “Strange Encounters”, gli unici momenti dell’album in cui, finalmente, tutti i veli cadono per lasciarci di fronte ai veri sentimenti di un uomo innamorato; mentre cade rovinosamente in episodi come “True Affection”, piagnisteo ironicamente pseudo-elettronico sul deterioramento delle relazioni umane a causa della tecnologia, o “The Night Josh Tillman Came To Our Apt.”, pedante (e vagamente misogina) lagnanza ispirata dall’incontro con un’aspirante cantante, leziosamente condita da tintinnii di glockenspiel.
Anche un pezzo come “Bored In The Usa", musicalmente perfetto e irresistibile, risulta deturpato dall’inutile sarcasmo delle risate finte che accompagna le lamentazioni per la condizione sociale di un trentenne americano.
Bisogna aspettare la chiusura del disco per trovare il giusto equilibrio, in quella “I Went To The Store One Day” il cui fingerpicking riporta all’ottima colonna sonora di “The History Of Caves”, che Tillman aveva firmato nel 2013 e che racconta del primo incontro di un uomo con la donna che cambierà la sua vita. Il momento più sincero e sentito, che salva un album pericolosamente instabile, e che dimostra, ancora una volta, che "omnia vincit amor”.
23/02/2015
1. I Love You, Honeybear
2. Chateau Lobby #4 (in C for Two Virgins)
3. True Affection
4. The Night Josh Tillman Came To Our Apt.
5. When You’re Smiling and Astride Me
6. Nothing Good Ever Happens At the Goddamn Thirsty Crow
7. Strange Encounter
8. The Ideal Husband
9. Bored In The USA
10. Holy Shit
11. I Went To The Store One Day