L'abbiamo nominato di recente in occasione dell'esordio del progetto Slow Meadow, ed ecco tornare anche Keith Kenniff col suo moniker Helios. Tre anni fa il cullante onirismo di “Moiety” aggiungeva un tassello al sempre più maestoso mosaico della musica elettronica contemplativa, marcatamente melodica e trasognata: a conti fatti una corrente “positivista” in un momento storico nel quale anche le arti rispecchiano la paura, l'incertezza e il senso di inadeguatezza verso i marasmi della civiltà globale.
“Yume” – “sogni”, per l'appunto – a qualche cinefilo ricorderà un omonimo gioiello della filmografia di Akira Kurosawa; più in generale è un indizio sulle sensazioni predominanti nel ritorno di Kenniff che, pur restando l'unica mente alla base del progetto, si divide in arrangiamenti più variegati, con tanto di percussioni elettroniche e ariose orchestrazioni. Anche qui il mastering è a cura di Taylor Deupree.
La diretta discendenza di questo sound va riscontrata nelle più estatiche cadenze dei Sigur Rós – gli archi eterei di “Sonora Lac” potrebbero caratterizzarla a tutti gli effetti come una bonus track di “Valtari” – con l'aggiunta di semplicissimi arpeggi di chitarra e una programmazione ritmica riverberata ma regolare, a tratti dalle movenze quasi trip-hop (“It Was Warmer Then”). Commovente il sipario finale di “Embrace”, avvolto in un elevarsi di fiati che richiamano il palazzo celeste degli ultimi Antlers.
Dieci strumentali non troppo ricercati né facilmente distinguibili tra loro, a pochi passi dalla comfort zone musicale di Kenniff, ma che per coloro che amano crogiolarsi in queste ambientazioni sa sempre regalare sprazzi di soave riconciliazione.
28/09/2015