“Drummer, strummer and midnight hummer”. Si presenta così, con una strizzata d’occhio alle rime della Steve Miller Band, il biglietto da visita di Nick Kinsey. Un nome che dovrebbe suonare familiare a chi ha visto almeno una volta dal vivo Elvis Perkins e la sua banda: come dimenticare lo sguardo spiritato di quel batterista pronto a trascinare tutti con sé nella foga della sua grancassa?
Già chiamarlo semplicemente batterista, in realtà, suona un po’ riduttivo. Nel suo curriculum c’è di tutto: un mentore del calibro di Billy Martin (quello del trio jazz Medeski, Martin & Wood), una formazione sui libri di etnomusicologia, un anno passato a Cuba con i maestri delle percussioni caraibiche… E, oltre all’esperienza negli “Elvis Perkins In Dearland”, un’avventura indie-pop al fianco dei Diamond Doves e una lunghissima lista di collaborazioni eccellenti, da Bon Iver ai My Morning Jacket, passando per i Cold War Kids e i Felice Brothers.
Ma il suo esordio solista, con solo il cognome tutto a lettere maiuscole a fare da ragione sociale, è qualcosa di più: una prova da songwriter, musicista tuttofare, giocoliere di suoni. La conferma di un talento a colori sgargianti, a cui vanno ormai decisamente stretti i panni del comprimario di lusso.
Uno sfarfallio di tastiere, ed ecco subito “Wide Awake” sbocciare in uno scintillante giocattolo psych-pop degno del miglior A.C. Newman, con gli accordi della chitarra e il saltellare del piano a condurre la giostra sotto la guida della voce vibrante di Kinsey. Il gusto un po’ obliquo per la melodia, in puro stile Elephant 6, si coniuga con una grana folk non troppo distante da quella dell’amico Elvis Perkins. Un connubio riassunto alla perfezione da “Dawn”, che parte come una serenata in chiaroscuro per poi cambiare completamente pelle, in un carosello di cori e tastiere.
A parte qualche aggiunta di basso affidata a Dan Edinberg degli Stepkids, “My Loneliest Debut” è essenzialmente affare da one man band: Kinsey suona letteralmente di tutto, dal banjo al vibrafono e dal clarinetto alla marimba. “Devo dire però che lo strumento più divertente da suonare è stato la chitarra”, confessa. “Ho scritto tutte le canzoni alla chitarra eccetto “Defender”, è stata un’esperienza completamente nuova per me. Per questo disco ero deciso a scrivere delle canzoni che potessero stare in piedi anche senza trucchi di produzione e arrangiamenti complessi, per cui partire dalla chitarra mi è sembrata la linea d’azione più naturale”.
Insomma, il debutto solitario di cui parla la title track, mescolando in parti uguali Okkervil River ed Elf Power, non è una semplice metafora: le canzoni del disco sono nate in un vero e proprio stato di isolamento, in una fattoria a nord dello Stato di New York immersa nel cuore dell’inverno. “Ogni giorno potevo seguire le mie orme nella neve fino allo studio di registrazione, dove restavo a lavorare anche fino a tarda notte”, racconta Kinsey. “È stata un’esperienza molto solitaria, ma l’isolamento ha avuto un ruolo cruciale nel permettermi di raggiungere il giusto ritmo di scrittura e registrazione”.
Ma a volte è proprio nella solitudine che si rivela il senso più autentico della compagnia. Non c’è da stupirsi, allora, che “My Loneliest Debut” si apra con la celebrazione di un incontro, di uno sguardo capace di rimettere in movimento la vita: “You woke me up/ From the minute that you showed up”. In tutto il disco non c’è traccia del cliché del cantautore eremita: basta sentire il ritmo flessuoso di “Whipping Boy”, con i suoi irresistibili incastri melodici, o il tratto più marcato dei riff di “Get Lost”. E anche quando il passo indulge alla ballata, come sulle note di “Youth”, è il suono mercuriale di “Blonde On Blonde” il punto di riferimento che affiora tra le righe.
Tra il caleidoscopio artigianale di “Chateau Ludlow” e il modernismo gospel di “I’m Home”, Kinsey rispolvera giusto in conclusione il repertorio dei Diamond Doves, sfornando una nuova versione di “Eat Your Heart Out”: “L’ho scritta in un periodo particolarmente duro della mia vita, per cui è sempre stata una canzone molto personale per me e aveva senso cantarla da solo in questo nuovo contesto”. Le ritmiche sintetiche dell’originale lasciano così il posto a un incalzare minimalista in cui c’è tutta la cifra di “My Loneliest Debut”. “Per questo disco avevo bisogno di una mia personale dichiarazione di intenti”, afferma deciso Kinsey. “È il primo progetto in cui ho fatto tutto da me, per cui c’è molta più libertà creativa e un attaccamento veramente personale a tutte le decisioni che ho preso”.
“I’m on my own, this songs’s my own/ This is a thunderclap of a heart, can you feel it quake?”. Il proclama di indipendenza di Kinsey si fa strada sulla solennità elettrica di “We Are Pipes”, quasi a voler sugellare le sue parole. Echi di tuono, lamenti di ectoplasmi, suoni e rumori a saturare l’aria di tempesta. Scoprirsi liberi, al centro dell’uragano. “This is my lullaby/ Sewn from pixels of pain/ May it find an open stream/ And greet the salty drain”.
08/11/2015