Elf Power

Sunlight On The Moon

2013 (Orange Twin)
psych-pop, alt-pop

Seppur usciti dai radar discografici appena tre anni fa, gli Elf Power non corrispondono certo all’identikit della band da cui attendersi chissà quale sorpresa. Esplosiva o imprevedibile la compagine di Andy Rieger non lo è mai stata, e negli ultimi tempi pareva averci abituato a una tranquilla sopravvivenza spesa senza particolare rimpianto ai margini dei palcoscenici più ambiti. Con simili premesse e un predecessore veramente fiacco come l’eponimo del 2010, non si può che considerare il più classico dei colpi di coda l’album che i georgiani pubblicano oggi per la loro Orange Twin, “Sunlight On The Moon”, il tredicesimo di una carriera da veterani (se si includono nel computo anche la raccolta di rarità “Treasures From The Trash Heap” e il disco realizzato in collaborazione con Vic Chesnutt nel 2008, “Dark Developments”).
Quelli che sin dalle prime battute si muovono su un fondo sonoro grossolano, prediligendo una confezione volutamente non impeccabile, sembrano più che altro i primi “Elves”: radiosi, floreali, con il loro incedere mai troppo fluido compensato da un fiuto non comune per le melodie, come dimostra una title track che non si potrebbe immaginare più paradigmatica. Elettrico e acustico, distorsioni e bassa fedeltà, concorrono per dare forma a una miscela al solito squinternata ma stimolante. Per chi abbia già familiarità con il collettivo di Athens, si prospetta allora una manna di piacevoli conferme. Per tutti gli altri, la nuova raccolta può valere invece come gustosa introduzione al pop obliquo e fumisterico di una delle formazioni cardine della Elephant 6.

I Big Star – via Teenage Fanclub – rimangono ancora una volta il riferimento irrinunciabile. E se Alex Chilton è per Rieger l’ indiscussa divinità di sempre, non è inconsueto che a fare capolino sia piuttosto il gruppo di Norman Blake, magari quello dei passaggi quieti della maturità (“Grotesquely Born Anew”), per quanto ciò non tolga che gli Elf Power abbiano saputo coltivare negli anni uno stile personale altamente riconoscibile.
Il loro limite, semmai, sta nel non essercisi mai allontanati troppo, ma è pur vero che questi ragazzi conoscono molto bene le regole del gioco. “Sunlight On The Moon” insegue la norma di un noise-pop inquieto e corrucciato, cui giovano sia le tenui tensioni sotterranee quanto le ombreggiature ultra-riverberate delle chitarre. Al di là di tutto, la band non riesce a nascondere dietro l’apparente sporcizia della veste la propria natura comunque gentile. Rumore e magiche armonie convivono così in un entusiasmante compromesso: la disinvoltura e il profitto nell’applicazione di questo schema lasciano sinceramente ammirati, perché danno quasi l’impressione che scrivere musica tanto vitale, aggraziata e accattivante, sia la più ordinaria occupazione al mondo.
Non si smette di guardare con spudoratezza al folk-pop degli anni 60 (“Things Lost”), ricercando e perseguendo un effetto grana sovraesposta, una solarità enfatizzata, che come espediente funziona ancora egregiamente, per quanto risaputo. Così la fragranza del nylon delle chitarre si lega ai beat sintetici in un sodalizio gradevolmente asprigno, elusivo, che sa di tinte acide e pellicole falsate giorno dopo giorno con esiti curiosi. I Beatles insegnano, i Love fanno da garanti. E’ con simili docenti che Rieger e la sua compagna, Laura Carter, hanno conseguito con lode la loro laurea.

Le ariose schitarrate al cristallo e la forza della luce di un passato abbagliante, che è come filtrata dallo schermo dei ricordi, tornano a più riprese nell’album (“Manifestations”, “Darkest Wave”). Il talento degli Elves nel ricorso sempre sobrio alle forzature espressive della psichedelia, si conferma nelle loro mani una squisita arte della mistificazione pop. Tutto appare allora più autentico, a cominciare dal miraggio di essere come sospesi fuori dal tempo, e quello della Georgia di dimostra per l’ennesima volta un quintetto di bravissimi alchimisti, falsari della citazione a fin di bene e dalla classe innata.
Nelle tredici tracce di “Sunlight On The Moon” non ci si discosta troppo dai registri di cui si è detto, ma questo non sembra rappresentare un problema visto che le invenzioni si susseguono e l’intrattenimento si mantiene su livelli di pregevole fattura. Rombanti, appesantiti, persino macilenti, eppure forti di una loro intima leggerezza capace di trascendere i limiti e gli scafandri della componente formale: l’unicità del collettivo statunitense risiede in questa sua sorprendente contraddizione, ennesimo gioco di specchi in una dote ricca di trucchi e illusioni.

Autentici maestri della suggestione, pittori di un fatalismo incantato, gli Elf Power non si negano verso la fine (“Chromosome Blues”) il flou di un morbido tratteggio onirico – un po’ come nell’ultimo Fruit Bats – a completare un armamentario di sortilegi incredibili. E’ anche vero che, arrivati a questo punto, il disco dovrebbe già aver avuto partita facile nell’irretire l’ascoltatore meno incline al pregiudizio. Nel dubbio, la chiusa di “A Slow Change” funge da richiamo perfetto al loro vaccino: un lento, estatico scorrere dei titoli di coda.
Con queste vecchie volpi dell’indie-pop a stelle e strisce, un nuovo rapimento (e relativa sindrome di Stoccolma) è così servito.

23/10/2013

Tracklist

  1. Transparent Lines
  2. A Grey Cloth Covering My Face
  3. Lift the Shell
  4. Sunlight On the Moon
  5. Grotesquely Born Anew
  6. Things Lost
  7. Darkest Wave
  8. You're Never Gonna Go To Heaven
  9. Strange Designs
  10. Manifestations
  11. Total Annihilation
  12. Chromosome Blues
  13. A Slow Change