A partire da un nucleo di tre personalità, Francesco Chimenti, Stefano Santoni e Davide Andreoni, gli aretini Sycamore Age aggiungono un piccolo stuolo di competenti polistrumentisti, Luca Cherubini, Samuel Angus McGehee, Nicola Mondani, Franco Pratesi. L’ensemble è così in grado di modellare con scintillante maestria elementi estranei a buona parte della musica pop-rock italiana nel debutto “Sycamore Age” (2012). Le loro composizioni impervie dalla costruzione barocca Mercury Rev-iana (“Binding Moon”) alternano armonie vocali a ballate lamentose, arrangiamenti d’archi e contorni elettronici, una ricetta non dissimile dai primi Akron Family, e raggiungono pure una nuova forma di sciamanesimo (“My Bifid Sirens”).
Dopo un irrilevante mini-cd di remix (“Remixes/Reworks”, 2014), i Sycamore impartiscono un altro saggio di ricerca canora e timbrica con “Perfect Laughter”.
“7” è una sarabanda circolare, percussiva e cacofonica resa ancor più surreale da un coro con fanfare sullo sfondo. La ballata per piano vintage di “Noise Of Falls”, dapprima una rilettura solenne e liturgica di un pop alla John Lennon, concerta un più originale kammerspiel per percussioni metalliche e archi sospiranti. “Drizzling Sand” è un vero e proprio miraggio, costruito o meglio soffiato da un canto sospeso e arrangiamenti cangianti, un bolero di suoni allucinati e cori da pub.
Per spiritosaggine spicca tra tutte forse “Frowning Days Odd Nights”, barrelhouse incupito da cori di spettri e silofono formicolante, ma “Monkey Mountain” richiama splendidamente la svanita follia cosmica Barrett-iana di “Astronomy Domine”, e la più concisa “Dalia” richiama la naivetè dei primi Soft Machine (l’ancor più breve “Diorama”, neanche due minuti, è un delirio para-sinfonico minimalista).
Irrisolta ma sempre impeccabile (notare con che classe violini dissonanti compaiono dal nulla) è “Cheap Chores”, sorta di versione industriale dei Radiohead, ma è subito redenta dal dulcimer marciante con battimani, sostituito da un concertino di sgangherati fiati minimalisti, di “In The Blink Of An Eye”, mentre un coro continua a piangere disperso nel mezzo, sorta di versione “soft” dei Magma.
Laddove brilla, e i momenti entusiasmanti non sono pochi, è un piccolo capolavoro di elegante postmodernismo. Una monumentale disinvoltura a composizione e arrangiamento lega l’opera; a parte i colori sgargianti, le dosi aggiuntive di rumore, le architetture bislacche, appare in controluce anche una visione capovolta del mondo e della natura. Anche gli apporti di Mariel Tahiraj (violino), Simon Chiappelli (trombone) e Daniel Boeke (clarino basso) si fanno sentire. Co-prodotto con Woodworm.
20/02/2015