The Mynabirds

Il potenziale di Laura Burhenn, come autrice e interprete, sembra essere svanito dopo l’esordio della sua band “The Mynabirds”. Quel mix di country alla Carole King e soul stile Motown, che animava l’album del 2010, “What We Lose In The Fire We Gain In The Flood”, e che aveva per un attimo quietato le attese dei fan del progetto in duo Georgie James, è ora preda di un suono pop elettronico confuso e distratto.

“Lovers Know” è tutt’altro che brutto o disdicevole, piuttosto suona come una sconfitta della personalità della cantante, che nelle vesti di moderna Dusty Springfield appariva più convincente e genuina, mentre il ruolo di Fiona Apple sposata all’elettronica e al dream-pop funziona come una scatola di fiammiferi impregnata d’acqua.
Armonie pop adatte a un sottofondo gradevole, ma esangui, infarcite di edulcoranti e trucchetti elettronici e ritmici che, svanito l’effetto sorpresa, hanno la stessa forza di un pugno nel vento.

Spesso l’orecchio cattura un refrain, un’intuizione che sembra riportare Laura sulla giusta via, come l’ingenua ma toccante ballata folk-noise “Omaha”, o l’eccellente “Hanged Man”, dove la voce, finalmente libera da effetti e riverberi eccessivi, tratteggia un folk onirico tessuto con intelligenza e originalità.

Non v’è dubbio che la produzione di Richard Swift stesse diventando ingombrante per Laura Burhenn, ma le avrebbe evitato scivoloni synth-pop come “Semantics”, in una manipolazione sonora che funziona solo a tratti, come nelle più riuscite “All My Heart” o “Say Something”, canzoni che non sembrano però necessitare di trucchi per apparire più belle, visto che più belle non sono.

Il riff alla U2 dell’inutile pasticcio pop alla Lana Del Rey di “Orion” e la tronfia “Wildfire” sono due esempi di intollerabile distrazione creativa, e nemmeno la pur raffinata “Velveteen" (quasi un incrocio tra Kate Bush e Annie Lennox) riesce a temperare la delusione quasi dolorosa che scorta l’ascolto di “Lovers Know”.

06/11/2015