La nuova etichetta di culto dark House Of Mythology chiude il suo primo, intenso anno di attività con gli stessi protagonisti che lo avevano inaugurato: a dodici mesi da “ATGCLVLSSCAP”, la creatura polimorfa Ulver dà alle stampe una colonna sonora originale, rientrando nel solco tracciato da “Lyckantropen Themes” e “Svidd Neger” oltre dieci anni fa. Un legame, quello con la settima arte, che idealmente risale addirittura alla svolta elettronica di “Perdition City”, il cui sottotitolo ne specifica la qualità di “film interiore”, dimensione che elude l’interdipendenza tra immagine e suono lasciando spazio allo sviluppo di una drammaturgia esclusivamente mentale.
Già attivo nel cinema indipendente come assistente alla regia e tecnico per le riprese, il giovane Justin Oakey ha scritto e diretto due corti prima dell'esordio ufficiale con “Riverhead”: un’opera prima che avvicina il nascente filone del docu-drama nel narrare le lotte intestine a sfondo religioso della natìa Newfoundland, isola canadese storicamente popolata da migranti originari del sud-est irlandese. La secolare faida tra questi ultimi, cattolici, e i coloni inglesi di fede protestante si è ripresentata specularmente alle lotte intercorse sul suolo europeo, generando un clima di tensione opprimente e vari crimini riconducibili a quella che, di fatto, è lecito definire come una vera e propria “guerra santa”.
Secondo un procedimento non certo inedito nel cinema moderno – almeno da “Koyaanisqatsi” in poi – è stato lo score degli Ulver ad anticipare le riprese del film, ispirandone le atmosfere algide con suggestioni parimenti essenziali dove il linguaggio neoclassico va incontro alla drone music. Si direbbe infatti che Kristoffer Rygg e soci tendano a identificare la colonna sonora con una forma di scrittura più tradizionale, prediligendo tessiture particolarmente scarne ma di immediata suggestione che facciano da complemento simbiotico, non intrusivo, all'immagine filmica.
Come per “Svidd Neger” l'elemento primario sono gli archi, i cui registri vengono esplorati in tutta la loro ampiezza, dall’acuto costante della title track – prossimo alle meditazioni microtonali di Scelsi – al gravore di un violoncello a corda vuota (“In A Wooden Coat”), tra stridori e scricchiolii propri del vocabolario contemporaneo. Gli interpreti a fianco del nucleo ulveriano sono il talentuoso duo di connazionali Sheriffs Of Nothingness: Ole Henrik Moe (anche nella Island Band) e Kari Rønnekleiv, che con strumenti della tradizione popolare norvegese aggiungono ai bordoni una sottile coloritura di fiddling che ne imita l’ascendenza celtica (“Idle Hands Are The Devil's Playthings”).
L’essenziale trama sonora condotta dalla triade principale non trova quasi nessun appiglio al sound solenne delle ultime prove in studio e live, assestandosi sulle coordinate stabili di una dark-ambient piuttosto convenzionale, occasionalmente smossa da fiati e percussioni ridotte ai minimi termini, o da tastiere elettroniche che, forse non a caso, rievocano i recenti exploit dei Mogwai (“Stoke The Fire”) e del consolidato binomio Reznor/Ross (“Stalking”) – per non parlare del rimando implicito nella trasognata “Bored Of Canada”.
Davvero poca carne al fuoco, stavolta, per un’entità che anche nei momenti di scarsa ispirazione ha sempre saputo distinguersi, mentre in “Riverhead” si mimetizza nella desolante media dei contributi musicali per il cinema: un genere tornato prepotentemente in primo piano, ma che ciononostante fatica a incontrare nuovi score che lascino un segno; rimane il beneficio del dubbio sull’effetto che potrà suscitare abbinato al film di Oakey, ma tant’è.
28/12/2016