Daniel K. Böhm è un musicista americano che nel 2016 approda alle scene musicali con "Carrier", pubblicato dall'etichetta francese Eilean Records. L'autore si dedica a una elettroacustica disarmonica e parcellare, potremmo dire molecolare o persino atomistica - prendendo in prestito il lessico scientifico - divisa in quattordici brevi brani, tutti abbastanza diversi tra loro, che esplorano vari aspetti e sonorità presenti nella storia dell'acusmatica; campionamenti, riproduzione di nastri registrati (tape music), utilizzo di strumenti non atti a produrre musica (musique concrete), uso di strumentazione elettronica con l'apporto dei classici strumenti acustici.
Quello che indubbiamente stupisce di "Carrier" è proprio la varietà di questi bozzetti elettroacustici, acquarelli di un microcosmo vario e pullulante di forme di vita sempre nuove, che vanno dalle canzoni elettroniche "giocattolo" da carillion ("Critter", "Mangrove") alla chitarra acustica minimale e ipnotica ("Ukearp", "Epitene Ali"), agli abbozzi post-rock ("100"), ai rimandi cosmici ("Wormhole", "Daytrips"), alla musica concreta ("Estuke"), alle reiterazioni elettroniche ("Nebexosjam", "Under Rhodes"), fino ai deliziosi brani incentrati sul vibrafono ("Wind Up" e "Componium Orbit"), che riescono a essere allo stesso tempo infantili e di ricerca. La voce c'è solo in pochi secondi, nella piccola perla acustica di "Blu Uke", che ricorda da vicino il sad-folk di Matt Elliott.
L'ambient elettroacustico di "Carrier", pur nella sua eterogeneità, rimanda ai concetti di nostalgia per un'infanzia finita, all'incanto della semplicità non banale, o persino a una depressione esistenziale la cui presenza pervade l'album in vari momenti.
Nel complesso, un esperimento molto originale e atipico, frammentato ma ben assemblato, che merita di essere ascoltato e apprezzato.
26/06/2016