Arrangiamenti cavernosi, con timbrica al limite dell'atonalità, sui quali si stagliano le drammaticamente trasandate interpretazioni vocali della Rundle, arrivando a un connubio piuttosto particolare di sonorità anni Ottanta ed espressività "piano rock" - senza il piano - di una Tori Amos d'antan, ma con gli abiti strappati ("Hand Of God").
L'effetto estetico generale è di grande impatto, con le sue immense scenografie vuote, gli accordi in minore e le sonorità cupe che diventano veicoli di emozione inespressa e quindi di tensione ("Furious Angel"); ma la scrittura sembra a volte rimanere un po' appollaiata lungo direzioni pop senza grande soluzione, come in "Medusa". In generale, è proprio la scrittura, priva di grandi intuizioni, specialmente se accoppiata a un impianto sonoro ed espressivo così studiato e ponderoso (a volte con "pesantezze" un po' tagliate con l'accetta, come in "Protection"), a dare in fondo una sensazione di grevità. Abbastanza da rendere l'esperienza generale di "Marked From Death" bidimensionale, il suo immaginario patinato.
Procedendo verso il termine del disco, la Rundle sembra poi finire proprio le cartucce, facendo della rabbia informe l'unico possibile nutrimento del disco e dell'ascoltatore ("So, Come", l'esiziale "Real Big Sky"). Prende forma in generale un altro disco (come l'ultimo dei Money) che si regge su una performance, più che sulle sue canzoni, e su un tono melodrammatico che si fa sempre meno digeribile e sempre più acerbo con gli ascolti. Emerge così il carattere fondante di questo lavoro, ricollegandosi alla copertina: una posa.
(19/10/2016)