Eravamo rimasti che Esperanza Spalding era una defilata contrabassista jazz, che si guadagnava da vivere insegnando il proprio strumento, suonando vecchi standard e scrivendo brani originali d'impalpabile levità, non troppo dissimili dall'etereo operato della vocalist Gretchen Parlato, con la quale spesso ha infatti collaborato. Oppure, possiamo ricordare Esperanza per il periodo in cui si era accostata all'intellighenzia afro-chic di Erykah Badu e Janelle Monae - la si vide suonare al ricevimento per il premio Nobel di Barack Obama, o vincere un Grammy totalmente a sopresa soffiandolo da sotto al naso a Justin Bieber. E se niente di tutto questo suona familiare, allora forse Esperanza viene spesso ricordata come quella che, sulle note di un brano di Michael Jackson, aveva messo in scena il più delicato dei coming out, peraltro ancora soggetto a chiacchiericcio, dal momento che lei stessa non ha mai veramente ufficializzato la cosa.
Tuttavia, nonostante il talento e la bella presenza, a Esperanza è spesso mancato quell'appiglio capace di farle travalicare il fiume. Il suo dividersi tra jazz classico e soul/r&b contemporaneo non è mai riuscito a imprimersi a dovere, un po' per mancanza di nerbo da parte sua in certi casi, ma forse un po' anche per tempistica - vedasi infatti il solo recente successo di una figura come Kamasi Washington e i plausi per il piglio "jazzistico" ricevuti da gente come Flying Lotus e Kendrick Lamar. Esperanza, insomma, era in tutto e per tutto la personificazione del suo strumento prediletto, il contrabbasso: capace di reggere la baracca, ma che raramente trova posto da solo sotto ai riflettori.
C'è dunque da sobbalzare sulla sedia nel premere play sul suo nuovo album e trovarsi di fronte alle incandescenti chitarre rock di "Good Lava", mentre la voce ricama gorgheggi psichedelici. Cosa diamine è successo alla ragazza che un tempo ci sollazzava con languida bossa nova? Stando alle sue stesse parole, Esperanza si è recentemente presa una pausa per staccare la spina e riconnettersi col mondo reale. Ma invece di raggiungere la solita maturità Zen saggia e posata da trama di un film, ha semmai scovato dentro di sé il seme di anni di rabbia e frustrazione repressa, sentimenti che non ha mai avuto veramente il tempo di affrontare, un po' per l'intensa attività musicale e un po' per compromesso per assecondare i voleri dell'industria nella quale lavora - quella stessa industria che, nell'anno 2016, ancora vive di stereotipi ed etichette, soprattutto per una donna afroamericana.
Ecco quindi comparire Emily, l'alter ego che ha preso il posto di Esperanza per parlare al mondo con estrema franchezza:
I want the worldmiagola incattivita sul numero da musical "I Want It Now", manco fosse la strega di un cartone Disney. Ma non c'è alcun stereotipo in questo nuovo corso, "Emily's D+Evolution" è semplicemente il disco che proprio non ti aspettavi; il rimando a St Vincent è immediato, ma dove quest'ultima gioca di fredda precisione, Esperanza colora di vibrato e psichedelia, mentre la sua navigata sapienza di polistrumentista fa traballare le canzoni tra ritmiche inusitate, armoniche scivolate in obliquo e irruenza rock - guardate pure il colorato e straniante corrispettivo visivo che accompagna i videoclip annessi al progetto.
And I want it now!
08/03/2016