Tuttavia, nonostante il talento e la bella presenza, a Esperanza è spesso mancato quell'appiglio capace di farle travalicare il fiume. Il suo dividersi tra jazz classico e soul/r&b contemporaneo non è mai riuscito a imprimersi a dovere, un po' per mancanza di nerbo da parte sua in certi casi, ma forse un po' anche per tempistica - vedasi infatti il solo recente successo di una figura come Kamasi Washington e i plausi per il piglio "jazzistico" ricevuti da gente come Flying Lotus e Kendrick Lamar. Esperanza, insomma, era in tutto e per tutto la personificazione del suo strumento prediletto: capace di reggere la baracca, ma che raramente trova posto sotto ai riflettori.
C'è dunque da sobbalzare sulla sedia nel premere play sul suo nuovo album e trovarsi di fronte alle incandescenti chitarre rock di "Good Lava", mentre la voce ricama gorgheggi psichedelici. Cosa diamine è successo alla ragazza che un tempo ci sollazzava con languida bossa nova?
Stando alle sue stesse parole, Esperanza si è recentemente presa una pausa per staccare dallo stress e riconnettersi col mondo reale, dopo un decennio passato a vivere da una valigia. Ma invece di raggiungere la solita maturità Zen che ti porta a una visione del mondo saggia e posata, Esperanza ha scovato dentro di sé il seme di anni di rabbia e frustrazione repressa, sentimenti che non ha mai avuto veramente il tempo di affrontare, un po' per la sua intensa attività musicale e un po' per compromesso per assecondare i voleri dell'industria nella quale lavora - quella stessa industria che, nell'anno 2016, ancora vive largamente di stereotipi ed etichette, soprattutto per una donna dalla pelle più scura (e possibilmente pure lesbica?).
Ecco quindi comparire Emily, l'alter ego che ha preso il posto di Esperanza per parlare al mondo con estrema franchezza; "I want the world/ And I want it now!", miagola incattivita sul numero da musical "I Want It Now", manco fosse la strega di un cartone Disney. Ma non c'è alcun stereotipo in questo nuovo corso, "Emily's D+Evolution" è semplicemente il disco che proprio non ti aspettavi; il rimando a St Vincent è a dir poco immediato, ma dove quest'ultima gioca di fredda precisione, Esperanza colora di vibrato e intenso falsetto, mentre la sua navigata sapienza di polistrumentista fa traballare le canzoni tra sincopi, scivolate armoniche in obliquo e irruenza rock dai sapori psichedelici - guardate pure il colorato e straniante corrispettivo visivo che accompagna i due singoli qui a destra.
Le 12 tracce di "Emily's D+Evolution" mettono in disparte il termine di jazz inteso nella sua purezza classica in favore di un'irruenta forma-canzone che non vai mai oltre i 5 minuti di durata, e dove l'assolo o gli eccessivi virtuosismi vengono tagliati per rimanere al servizio dei testi - Esperanza ha cose da dire, e le deve dire ora e subito, senza tanti giri di parole. Pur con i sobbalzi forte/piano di "One" e l'atmosfera onirica di "Farewell Dolly", il disco suona ben compatto e agguerrito nel suo nuovo stile, ma l'intenzione è proprio quella.
Si presume una rivolta da parte della vecchia guardia di appassionati per i quali il jazz vive ancora attraverso la riproposizione degli standard, ma soprattutto per quelli che vogliono che la cantante jazz di estrazione più melodica segua la sobria eleganza di una Norah Jones o una Madeleine Peyroux - dolci fanciulle alle quali infatti Esperanza in passato è stata spesso associata. E invece no; nonostante tutto, il mondo del jazz va avanti anche nel campo non-sperimentale, ed Esperanza Spalding al momento è la sua riot grrrl.
(08/03/2016)