Durante il recente, ottimo, concerto milanese, tenutosi due giorni prima dell'uscita ufficiale di questo disco, Shirley Manson aveva giurato ai fan che in esso c'erano "amore e buone intenzioni". Nelle dichiarazioni ufficiali i Garbage si erano parimenti lasciati andare, sostenendo di aver "seguito l'istinto senza ancorarsi al passato", ma anche ammettendo che il lavoro è "il più vicino all'album di debutto". Alla prova dell'ascolto, in queste parole c'è l'effettivo contenuto di "Strange Little Birds" e traspare la difficoltà nel giudicare criticamente un album del genere.
Sarà anche vero, infatti, che la band ha seguito l'istinto, ma non si può proprio dire che non si sia ancorata al passato, anzi. Tutte queste undici canzoni, infatti, riprendono quanto la band ha fatto nei primi due album. Lo stesso suono fluido ma al contempo sporco e acido, la stessa voglia di far assorbire tra loro le chitarre e le tastiere, lo stesso timbro vocale prevalentemente spigoloso e sofferto ma che ogni tanto si arrotonda e rasserena, gli stessi testi nei quali si raccontano disagio e sconforto quasi con la voglia di mostrare un certo senso di appartenenza a questi ambiti emotivi.
Il primo singolo "Empty" propone un dinamismo nell'arrangiamento che ricorda quello di "I Think I'm Paranoid"; "Blackout" è controllata nella strofa e il tasso di adrenalina aumenta nel ritornello, un po' come "My Lover's Box"; la ritmica vellutata di "If I Lost You" non può non far venire in mente quella di "Queer"; in "Even Though Our Love Is Doomed", una veste sonora pulita cova al proprio interno tensione ed epos, come avviene in "Milk"; "Magnetized" e "We Never Tell" fanno rivivere il lato più pop della band, quello di "When I Grow Up" o "Special".
Non sarebbe giusto, però, derubricare queste canzoni a mere copie realizzate con carta carbone. Le similitudini indicate non stanno a significare che i nuovi brani siano identici a quelli di riferimento, ma semplicemente si può parlare di un utilizzo degli stessi come linee guida per la costruzione sonora e compositiva di quelli nuovi. Il che non è necessariamente un male, se, come in questo caso, dall'ascolto si percepiscono nitidamente vitalità e passione. In questo senso, probabilmente, possiamo prendere per vera la dichiarazione secondo cui è stato seguito l'istinto: quando non si pensa troppo a quello che si sta facendo ma si cerca solo di stare bene con se stessi, viene naturale appoggiarsi a quanto ci sia di più vicino alla propria natura. Evidentemente la natura dei Garbage è questa e, con una fanbase ancora solida, i quattro si devono essere sentiti in diritto di fare quello che volevano, senza pensare alle eccessive somiglianze con il glorioso passato.
Al di là dei processi alle intenzioni, il disco merita almeno un ascolto perché il songwriting e la costruzione del suono sono di buona qualità, perché la Manson mostra, sia nel cantato che nei testi, l'espressività e la riconoscibilità dei tempi belli, e perché questo è indubbiamente l'album dei Garbage dal maggior impatto emotivo dopo, appunto, i primi due, e come valore complessivo è sicuramente migliore sia di "Bleed Like Me" sia di "Not Your Kind Of People" e se la gioca con "beautifulgarbage" per il gradino più basso del podio della discografia della band.
Ventun anni dopo il primo disco, e con la frequenza delle pubblicazioni che si è molto ridotta negli ultimi dieci anni, ha molto più senso che i Garbage si disinteressino a eventuali nuove strade e che pensino solo a fare dischi solidi e coinvolgenti come questo.
15/07/2016