C’erano grandi aspettative per questo nuovo album crowdfunded della band anglo-finlandese, guidata dall’ineffabile “maestro druido” Mat McNerney, inglese trapiantato in Finlandia, dove ha trovato non solo una band, ma un modo originale per declinare il suo background, che deriva dalla psichedelia inglese.
In “When We Are Death” purtroppo – e sorprendentemente – tutta l’ambientazione boschiva, cupa e ancestrale, che pescava dalla tradizione neofolk scandinava, scompare, perlomeno nella musica – certo, “spiriti fungo” e altri esseri pagani/biocosmologici sono sempre il pantheon di riferimento per le declamazioni di McNerney, ma immerse questa volta in una più piatta scenografia psichedelica, con un sound stranamente privo di profondità, come se il disco avesse saltato qualche fase di produzione.
La musica degli Hexvessel suona così depotenziata, tra qualche sprazzo della scorsa epica naturalistica e cosmica (“Hunter’s Prayer”) e incomprensibili tirate rock muffite quasi ancora prima di iniziare (“Transparent Eyeball”, un brano di innocuo psych-rock di stampo Farfisa che potrebbe appartenere al peggior repertorio di Noel Gallagher o Paul Weller), in cui il songwriting dell’inglese offre veramente il peggio di sé, sulla scorta di un’enfasi goffa e senescente.
L’impressione non scompare, anzi viene accentuata, in “Earth Over Us”, che propone un copione inaudito per la band, con i suoi scanzonati ritmi anni 60, che, più che una beffarda deviazione, suonano come una piccola, ingiustificata sciatteria.
Esemplare in questo senso la caricaturale interpretazione della semi-title track “When I’m Dead”, uno dei tanti brani infarcito di cliché psichedelici, in una sorta di tarantiniana celebrazione della “serie B”, del kitsch spinto, dell’amatoriale. Ma è quello che ci si aspetta, o, ancora meglio (o peggio), quello che gli Hexvessel volevano da questo nuovo disco? La risposta appare scontata.
13/01/2016