Sparito o quantomeno attutito il battito motorik (quando tentano di recuperarlo ne esce un'inetta lounge-ballad come "Shivering"), rimane così una più professionale spinta disco-dance. È espressa soprattutto con un gioiellino, il pulsante, insistito, sincopato, orientaleggiante rave-up di "Chimes Broken", con una vibrazione elettronica sottopelle, a tratti un remix della "Inertia Creeps" dei Massive Attack per dancefloor tossici.
I suoi seguiti, la formula-nenia dagli artificiali scenari di "Tom Tom", lo schizofrenico strumentale soul di "House Of Glass", con refrain brutale di tonfi hardcore-techno, e la mitraglia Moroder-iana di "Crapture" (un po' troppo furia cieca), non sono altrettanto avventurosi ma comunque risplendono rispetto ai riempitivi ("Xed Eyes", routine punk-funk, "Neon Dad", il numero pop ecc).
Sono in quattro, Brian Borcherdt, Graham Walsh, Matt McQuald e Matt Schulz (medesima line-up del predecessore), e ci sono voluti due anni, ma a contare realmente è uno strumento solo, uno studio di registrazione sputasuoni usato in sovraccarico e con scriteriata ingordigia. Anche per questo la seconda metà sfalda il già poco: bastava un brano ("Chimes Broken") e qualche lato B.
(21/07/2016)