E se gli occhiali da sole di "Essi vivono" esistessero veramente? Se potessimo indossarli e vedere il vero volto della realtà che ci circonda? Il nulla alle nostre spalle, il vuoto dietro di noi. L'orrore, l'orrore.
Come un'interferenza dallo schermo del televisore, la foga della voce di John Congleton viene a ripeterci che stiamo dormendo, che non siamo diversi dagli abitanti della Los Angeles immaginata da John Carpenter. Viene a costringerci ad aprire gli occhi, a uscire dalla caverna e riconoscere le ombre.
Il suo è un nome che non ha certo bisogno di presentazioni: dietro la consolle, si è ormai affermato come uno dei produttori più quotati in ambito indie (da St. Vincent agli Shearwater, da Micah P. Hinson fino ad arrivare agli ultimi Suuns). Ma l'ultima volta che Congleton aveva firmato un album in prima persona risaliva ormai al 2009, alla guida degli indimenticati Paper Chase. "Il più lungo periodo artistico della mia vita adulta senza pubblicare musica", lo definisce senza mezzi termini.
Da allora, il vecchio gruppo si è sfilacciato lungo la strada. Congleton si ripresenta così come diretto titolare di una nuova ragione sociale, al fianco dei Nighty Nite (il collettivo che lo accompagna già da tempo dal vivo). "La differenza principale è che non si tratta di una band", spiega. "Ci sono io ed essenzialmente chiunque si trovi nel cast di personaggi che hanno voglia di suonare con me in quel momento".
Nonostante i cambiamenti, la continuità con i Paper Chase è evidente già dal nucleo essenziale della formazione, in cui spicca la presenza dell'ex batterista della band, Jason Garner. Ma se l'impronta di Congleton resta talmente personale da farsi riconoscere all'istante, "Until the Horror Goes" conduce la formula dei Paper Chase verso la sua incarnazione più compiuta di sempre.
Le tastiere sono sirene d'allarme che annunciano l'apocalisse, le chitarre echi di una distopia industriale. E Congleton marchia a fuoco ogni nota con la sua enfasi debordante, da qualche parte tra la furia declamatoria degli Xiu Xiu di "Fabulous Muscles" e la verbosità di un Conor Oberst votato all'esistenzialismo.
L'incalzare febbrile di "Animal Rites" sfocia in una sarabanda da sala giochi, mentre gli archi di "Your Temporary Custodian" si insinuano con il riflesso inquietante delle ombre dietro le finestre di una casa infestata. Rispetto al passato, l'orizzonte espressivo di Congleton acquista sfumature inedite: "The White Powerless" si diverte a corrompere le chincaglierie pop di un vecchio juke-box, "Canaries in the Coal Mine" fa comporre ai Timber Timbre la colonna sonora di un film horror.
La vera cifra del disco, però, è la capacità di caricare i brani di una travolgente potenza lirica, riassunta nella maniera più emblematica dal climax prepotente di "Until It Goes". Una vena tradotta perfettamente in immagini dal video ideato per il brano da Andy Byers, che sovverte la banalità del male - il volto di un criminale nazista in punto di morte - in un sadico incubo di palingenesi splatter.
Qualche inciampo non manca (vedi gli ammiccamenti di "Who Could Love You Lucille?"), ma una proposta dai tratti così marcati (dalla martellante ossessione di "Just Lay Still" al teatro gotico di "A Tale Told By An Idiot") pone di fronte a un'alternativa netta: o la si sposa o la si rifiuta in blocco. "Per me la musica deve essere come una splendida donna con una cicatrice sul viso", riflette Congleton. "Se ti innamori di qualcuno, le imperfezioni del suo volto diventano la cosa più bella per te".
Lo spirito e la carne, l'ordine e il caos. Congleton mette in scena la sua personalissima danza macabra, senza paura di guardare in faccia la precarietà della condizione umana. "Ci siamo abituati a rimuovere le domande esistenziali", osserva. "Eravamo più felici quando eravamo costretti costantemente e immancabilmente a contemplare la nostra mortalità. Rendeva ogni cosa meno cruciale. Alla fine, nessuna delle cose per cui ci preoccupiamo e ci affanniamo ogni giorno conta davvero".
Il corpo e la sua biologia animale: tutto sembra ridursi a questo. "And then there's me, the temporary custodian/ Of these particles and free floating radicals/ That convene for 80 years or so". Possibile che in questa massa di atomi condannata all'inanità ci sia qualcosa che continua a spingersi verso il sublime? "What an extraordinary thing is to be this ordinary thing".
Possiamo ancora aggrapparci a uno squarcio di verità, attraverso la superficie ingannevole delle cose. "It's a truth that will slip through your fingers/ It's a beauty that we could have had", proclama Congleton sui rintocchi funebri di "You Are Facing the Wrong Way". Anche se l'abbiamo stretto tra le dita solo per un istante, non possiamo più tornare a dormire. E ce ne andiamo in mezzo alla gente custodendo il segreto come John Nada, dietro alle lenti di un paio di occhiali da sole.
23/05/2016