Questo processo precipita con piena sfacciataggine commerciale in "Junk". Non stupiscono così soul artificiali ("Walkaway Blues"), rozzi techno ("Do It, Try It"), soft-dance ("Bibi The Dog", "Laser Gun") e hit che farebbero invidia agli Wham ("Road Blaster").
Quasi assurdo, invece, è che a spiccare sia un lento, una "For The Kids" cantata da Susanne Sundfør (recupero della collaborazione per "Oblivion"), un trionfo di kitsch che non riguarda minimamente non solo l'album ma nemmeno la sua carriera, e per questo toccante. La "magia" peraltro non si ripete in "Solitude", sei interminabili minuti di singolo che annaspano in archi - di nuovo - hollywoodiani, e men che meno nel languore di "Sunday Night 1987".
"Junk" = "spazzatura". Non è chiaro se il titolo di questa strana specie di agglomerato musicale, che dura persino un'ora (forse la cosa più sconvolgente di tutte), sia ironico o meno. Ammettiamo, dalla sua, l'impegno nel concertare un materiale eterogeneo, nel dirigere con naturalezza gli ospiti - Mai Lan nella meno peggio, "Go!", Beck in una delle peggiori, "Time Wind" - e nel dar brio alla confezione. Ci si arrende poi alla realtà dei fatti, a un album piacione, abborracciato, antiquato (rimandi agli Air più svenevoli quando va bene). Ridondante, persino. Gli strumentali di due minuti e i terribili filtri elettronici sono beffe che si aggiungono al danno.
(13/04/2016)